E’ una mano ancora una volta felice quella dei veterani shoegaze Echodrone (sono nati nel 2005 a San Francisco e, incredibile ma vero, creano, da sempre, i loro brani grazie al file sharing e all’assemblaggio della varie parti) che arrivano al traguardo del sesto album con l’idea precisa (e realizzata!) di fare ogni brano della lunghezza di 3:33. Stanchi di essere criticati per delle composizioni troppo lunghe, gli Echodrone fissano una tempistica ideale per sviluppare un brano alla perfezione e diciamo subito che non sbagliano: la forma canzone viene rispettata in pieno, la varietà sonora è soddisfatta, la cura per le melodie è altissima e i brani, non avendo particolari divagazioni, colpiscono e arrivano subito dritti al punto. Cosa di non poco conto nello shoegaze, genere in cui gli spazi aperti e sonici invogliano anche a lasciarsi andare, per trovare una magica estasi sonora. Gli Echodone invece scelgono la strada della “limitazione” temporale, senza però rinunciare ai dettami del genere, plasmati alla perfezione e anzi, elaborati con ottima personalità .
Se “Threaded Barrel” parte con una batteria quasi alla Chapeterhouse, che si manterrà costante per tutto il brano, mentre il sound ci accarezza con suggestioni dream-pop, ecco che la title-track è vicina alla sperimentazioni di una band come i Trementina, con l’uso dei synth e una varietà di soluzioni che si rincorrono nel brano. Più che l’esplosione chitarristica (presente solo nei ritornelli di “Below, from Abowe”, traccia dal forte gusto anni ’80) la band lavora ottimamente su un sound che crea atmosfera e suggestioni (“Save Me” e l’incantevole “Home”, vero e proprio sogno ad occhi aperti), senza però dimenticare di creare vortici distorti che trovano piccoli barlumi di serenità (“Rock Waltz”), così come dimostrano di saper flirtare, con ottima capacità , anche con andature più morbide e pop.
Se il 2017 aveva riportato alla ribalta lo shoegaze, questo 2018 sta dimostrando che lo stato di salute del genere è assolutamente ottimale.