Correva l’anno 2004, quando i Franz Ferdinand conquistarono a mani basse lo scettro come nuova rock’n roll sensation, spodestando dal trono tutte quelle bands (vedi The Strokes, The White Stripes, The Rakes, Block Party, The Rapture, Interpol, The Kills etc.), che erano salite alla ribalta all’inizio degli anni 2000 grazie a quell’eccezionale nuova ondata new wave che rinverdiva i fasti della medesima scena nata tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80.
I 4 di Glasgow salirono sul podio con un esordio clamoroso, quell’omonimo album che vantava al suo interno praticamente solo hit, le quali, pur non presentando nessuna novità sonora particolare, coniugavano in maniera pressochè perfetta le influenze rubate a piene mani da maestri come Talking Heads, Television, Clash, Gang of Four, The Smiths e Bauhaus impreziosite da attitudine glam rock, veemenza garage e melodie beatlesiane.
Dopodichè cosa successe ?
Se molte di quelle bands che sembravano destinate alla gloria eterna continuarono a produrre, smarrendo però la loro primordiale ispirazione (vedi The Strokes), alcune implosero per generare nuovi semi artistici (vedi
The White Stripes), mentre altre si persero per strada non lasciando più alcuna traccia.
I FF invece continuarono a macinare dischi (4 in totale per l’esattezza nel giro di 10 anni), proponendo un sound sempre di alto livello ma che continuava a girare intorno alla solita formula, ad eccezione di quel “Tonight: Franz Ferdinand” del 2009 che mostrava i primi elementi di novità con uso di elettronica e synth, per poi però ritornare con l’album seguente a riposizionare le chitarre in prima fila.
Sembrava perciò naturale che prima o poi la band si fosse dovuta trovare ad un bivio. O percorrere la strada dell’identità a tutti i costi, con il rischio di tramutare il talento in noia, o decidere di rovesciare il tavolo ed esplorare nuovi percorsi.
L’idea che la strada scelta sarebbe diventata la seconda lo si è potuto già intuire 3 anni fa da quel progetto geniale e riuscitissimo che è stato “FFS” in cui 3/4 della band si amalgamarono con risultati eccelsi ai 2 fratelli Ron e Russel Mael degli Sparks.
Diventa quindi oggi certezza con l’uscita di questa nuova quinta opera “Always Ascending”.
Si provvede altresì ad un cambio netto della lineup intorno a quello che di fatto è il deus ex machina Alex Kapranos. Nick McCarthy infatti, storico chitarrista, comunica la decisione di abbandonare la band per motivi personali e viene sostituito dal pari ruolo Dino Bardot e da Julian Corrie che impreziosisce il progetto con il ruolo di polistrumentista.
Se fin dagli esordi i FF hanno sempre dichiarato di aver messo su la band per suonare musica che facesse ballare le ragazze, questa è l’occasione giusta. Meno rock, più dancefloor e funky quindi (ruolo fondamentale in questo senso è da attribuire al produttore francese Philippe Zdar, metà del duo electro Cassius).
Provate perciò ad ascoltare il trittico iniziale, composto dalla travolgente “Always Ascending”, dalla sfacciata “Lazy Boy” (I’m a lazy boy /
never gettin’ up in time,I enjoy / being a lazy boy / lying in your bad / thinking of how / a lazy boy loves you canta soddisfatto Kapranos in uno dei vari testi come al solito istrionici e sfrontati) e dall’incedere ammiccante di “Paper Cages”.
Siete riusciti a rimanere immobili ? Impossibile !
Si ritorna poi al classico sound riconoscibilissimo dei nostri, come in “Finally” o “Huck and Jim”, che mette però più in rilievo, rispetto al passato, i cori e che abbandona definitivamente la formula classica di scrittura strofa/ritornello.
Abbiamo poi una “The Academy Award” che sembra la naturale prosecuzione sonora di quelle “Eleanor Put Your Boots On” e “Walk Away” che in “You Could Have It So Much Better” avevano rappresentato a sorpresa le prime vere ballads in stile Lennon/McCartney.
L’apice del disco è rappresentato da “Feel The Love Go” dove nel finale una esplosiva sezione ritmica basso/batteria va ad intrecciarsi ad un anarchico assolo di sax e ai vocalizi di Kapranov che potrebbero durare fino all’eternità , portando definitivamente pace a amore sul pianeta, manco fossimo tornati nella summer of 69.
Nel complesso, dobbiamo ammettere che avremmo desiderato ancora maggiore coraggio e che una volta per tutte venisse definitivamente seguita quella che è la lezione di Bowie in cui ogni prova è l’occasione per cambiare completamente pelle.
Qui la pelle è stata lucidata e in parte rinnovata. L’impressione perciò che questo è un passo importante verso un successivo probabile secondo album imprescindibile della band dopo quello d’esordio ci rende fiduciosi per il futuro.