Riuscirà mai Brian Fallon a eguagliare il successo ottenuto con i The Gaslight Anthem? Sarà il decimo compleanno di “The “’59 Sound” che si avvicina a grandi passi a far venire un po’ di nostalgia o forse la tanto sospirata reunion della band annunciata per celebrare la ricorrenza con una serie di concerti in cui suoneranno quell’album dall’inizio alla fine; ma sembra proprio che “Sleepwalkers”, secondo disco solista di Fallon dopo “Painkillers” del 2016, non possa proprio sfuggire ai paragoni col passato.
La forza dei The Gaslight Anthem è diminuita progressivamente dopo i duetti con Springsteen, il loro rock duro e puro aveva perso mordente già prima dell’ultimo album (“Get Hurt”) ma la voce roca di Brian Fallon resta una delle più sincere e riconoscibili del nuovo millennio. “Sleepwalkers” abbandona per un attimo la strada tracciata dal Boss e si avventura in territori che ricordano il Dan Auerbach solista con un gusto ancora più pop. Discreto il soul gospel accennato in “If Your Prayers Don’t Get To Heaven” e nella titletrack, graffiante il ritmo di “My Name Is The Night (Color Me Black)”, buona l’intensità di “Watson” “Etta James” e “Come Wander With Me” ma siamo lontani dalla rabbia dei giorni di gloria.
I momenti più convincenti di questa seconda prova solista sono quelli in cui Fallon si lascia andare e ritrova forza e voglia di lottare. La conclusiva “See You On The Other Side” ricorda molto i The Horrible Crowes, side project che aveva messo in piedi con Ian Perkins qualche anno fa (“Elsie” è il loro ottimo primo e finora unico album). “Little Nightmares” e “Forget Me Not” sono un antipasto perfetto per i futuri concerti dei The Gaslight Anthem, chissà che non ritrovino sul palco quella grinta che li aveva fatti diventare un modello da imitare. Tornando a “Sleepwalkers”: non ha l’intensità dolorosa di “Painkillers” ma regala comunque qualche emozione da conservare.