4 brani per affermarre che le distanze con lo shoegaze “classico” ormai sono sempre più marcate e, bene o male, anche la vecchia guardia (come il sottoscritto) ne deve prendere atto. I Ride 2017/2018 dimostrano di avere poca voglia di incasellarsi nei confini di un genere che, a suo tempo, contrinuirono a definire (anche se già nei ’90 ne presero comunque le distanze) e preferiscono le sensazioni ad ampio raggio, piuttosto che l’intensità chitarristica.
Intendiamoci, lo shoegaze trovava l’estasi nelle chitarre, in quella fuga della realtà grazie al rumore che entrava nella nostra testa, mentre le voci e la melodia si sublimavano nel feedback e, tutto sommato il senso di movimento senza gravità e di percezione aperta è ancora ritrovabile nella band, che però gradisce molto lavorare molto di più sui synth e su valenze ambient/cinematografiche, a tal punto che non è una bestemmia accostarli, a tratti, agli Air. I puristi potranno già aver storto il naso, ma chi ha fiducia in Mark e Andy li seguirà volentieri anche in quest’avventura, morbida in “Catch You Dreaming” (con questo accenno più marcato all’elettronica nel finale e un ritornello comunque pop che si fa apprezzare) ma anche ruvida e fuzz in “Pulsar”. “Keep It Surreal” è un numero indie-rock che si va sporcando strada facendo, impreziosito dall’assolo finale, niente di memorabile, mentre “Cold Water People” è dilatata e ciondolante, ma anche qui non ci strappiamo i capelli di fronte a questo piccolo viaggio fra onde dondolanti con l’aria satura di synth vaporosi.
Ancora una volta il buon Loz Colbert viene sfruttato al minimo sindacale come già nel precedente “Weather Diaries”. Continuo a rimpiangere “gli altri Ride“. Chiedo venia.