I Darlingside vengono da Boston e a prima vista potrebbero sembrare il classico gruppo folk pop d’oltreoceano, capace di destreggiarsi abilmente tra vari strumenti (chitarre, basso, violino, mandolino, violoncello, banjo) e di inserirsi con facilità in quell’ampio filone alt ““ country chiamato Americana. In realtà sono qualcosa di più. Don Mitchell, Auyon Mukharji, Harris Paseltiner e David Senft si sono incontrati al college cantando in un coro a cappella e sul palco vanno spesso usando un solo microfono, per creare un’atmosfera più informale.
Arrivati ormai al terzo album dopo “Pilot Machines” e “Birds Say” e dopo un EP molto divertente uscito due anni fa (“Whippoorwill” con un’ottima cover di “1979” degli Smashing Pumpkins)i Darlingside decidono di cambiare strada, di sperimentare con suoni meno tradizionali e più elettronici. Scelta forse obbligata ma sempre rischiosa. Non per i Darlingside fortunatamente. Il punto di forza di questi quattro bostoniani sono sempre state le armonie vocali perfettamente a tono e in “Extralife” ce ne sono di pregevoli (“Futures”, “Hold Your Head Up High” e “Lindisfarne” ad esempio) con una vena di follia in più che emerge in “Eschaton” e “The Rabbit and the Pointed Gun”.
Don Mitchell, Auyon Mukharji, Harris Paseltiner e David Senft fanno sembrare tutto semplice divertendosi anche a scrivere testi deliziosamente nonsense come quello di “Rita Hayworth” (in passato hanno chiamato una canzone “Harrison Ford” e scherzato sul fatto che l’ispirazione per un altro brano, “Go Back”, gli fosse venuta guardando “Ritorno Al Futuro” di Robert Zemeckis). Simpatici, talentuosi, intensi e un filo malinconici i Darlingside riescono a creare un mondo tutto loro. Mai banali e piacevolissimi da ascoltare.