Di Simona D’Angelo
Il 16 febbraio è uscito “Uncle, Duke & The Chief”, quinto album in studio per la band indie rock di Toronto Born Ruffians, un vero e proprio inno alla bellezza della morte. Sound accattivante e immediato, grazie ad acustiche calde, clapping-hands, tamburi e chitarredalle influenze pop-rock. Nove tracce accomunate da un riverbero di nostalgia che trattano di morte, invecchiamento, amore, ambizione, insomma della vita. Il brano iniziale “Forget Me” è stato ispirato dalla scomparsa di David Bowie: “Someday /A white light Will come for you / To comfort you”
Una riflessione profonda del frontman Luke Lalonde che in un’intervista dice : “Questa canzone parla della mortalità , ma penso che possa essere applicata a tutti gli eventi della vita, come ad esempio quandonon si è destinati ad essere sulla stessa strada di qualcuno, di un partner, e si è costretti a prendere strade diverse, lasciandolo andare avanti senza di te. Forse ti incontrerai di nuovo. Forse no“; brano che inizia in acustico e che incarna, soprattutto nelle melodie, lo spirito rock degli anni ’60.
I cori lo-fidi “Miss You”, incalzati dal ritmo serrato di chitarra ecassa tamburo, passano quasi in secondo piano, lasciando spazio ad un’energia dal sapore vintage. “Side Tracked” inizia con effetti di chitarra psichedelici, dove basso e chitarra sono spesso all’unisono, una perfettacolonna sonora per una malinconica fine dell’estate. Energia pura anche per il rock-punkdi “Fade To Black”, batteria in propulsione per un up and down da montagne russe, in cui sembrano far capolino – tra una discesa e l’altra- i Vampire Weekend.
Sto fischiando, è iniziata “Love to Soon”, cerco di imitare maldestramente l’intro e resto rapita dalla melodia sognante di organo e chitarra, ma con l’amaro in bocca, per il testo malinconico carico di aspettative tradite: “But some people do / Some people fall in love / It’s wonderful, too / But sometimes too soon for love”
I Ruffiani abbandonano per un attimo i 60’s per avvicinarsi ad un sound più vicino ai nostri giorni con “Spread So Thin”, cori e chitarre che sembrano un incrocio tra “Mr.Brightside” dei Killers e “Milan” degli High Highs, insomma un soft rock dalle atmosfere quasi ultraterrene.
Brani come “Ring That Bell” fanno spalancare le orecchie gridando al miracolo, una fusion perfetta di stili, un mix di surfer-rock e insolenza anni ’60, ritmi off beat per un accennato ska, cori alla The Clash erefrain di tastiera di memoria “manzarekiana”, abbelliti con linee di basso che sarebbero a loro agioin qualsiasi disco francese. Anche il brano successivo, “Tricky”, gioca con i tamburi accompagnati da una chitarra graffiata e una tastiera grintosa, senza però spiccare davvero per originalità come per “Ring That Bell”.
L’album chiude con “WorkingTogether”, colonna sonora perfetta da ascoltare alla fine di una giornata storta, la batteria si fonde insieme al battito di mani, la voce urlata è accompagnata da cori simil-gospel. “Uncle, Duke & The Chief” termina così e ci lascia sospesi tra la speranza di un domani migliore e la certezza che, come dice Lalonde: “Alla fine moriremo tutti, è l’unica cosa che stiamo facendo, ma siamo tutti su quella strada insieme“.
Credit Foto: Vanessa Heins