Beatrice Antolini ritorna potente, determinata e diretta con “L’AB”, album che conferma la maturità artistica della polistrumentista maceratese. A tre anni dall’ultimo lavoro Beatrice si prende delle enormi responsabilità sulle spalle: cura in prima persona tutti gli strumenti, l’arrangiamento, la produzione, registrazioni e mix finale. Un grosso rischio, seppur ben calcolato, che la vede vittoriosa.
L’insieme si affaccia su più generi, dal synth pop al jazz passando per l’indie elettronico. Se da un lato questo dimostra la sua versatilità e la brillantezza nel fondere più sonorità , dall’altro “L’AB” rischia alla lunga di sembrare un voler strafare. L’inserimento di più stili, di più input porta a non concentrarsi su riff, melodie e particolarità sonore che meriterebbero un approfondimento maggiore. è normalissimo, tuttavia, cercare di mostrare tutto il proprio essere quando si ha un talento cristallino nelle idee e nelle mani.
L’essere diventa principale nei testi delle sue canzoni, nella sua critica al mondo social che ci circonda, sempre intento a riempire di niente le nostre giornate (“Beautiful Nothing”) senza darci un attimo per riflettere su noi stessi, per annoiarsi. La noia è una sensazione sottovalutata: il piacere del far niente, “Beautiful Nothing”, è confortevole, la “Bellissima noia” cantata da Nicolò Carnesi “non lo lascia dormire mai, lo porta sempre al cinema. Gli fa scrivere canzoni, lo fa ricordare, bellissima noia“. Il canto di Beatrice Antolini è quasi rassegnato, gioia e dolore di questo niente, paura e conforto.
Il problema è quando manca la volontà di colmare questo niente, “What You Want”, si chiede la musicista, in uno swingato incalzante a voler scuotere dal torpore esistenziale chi ancora non ha deciso di combattere, di inseguire una strada e lottare per questa.
Schizofrenia alternata a momenti di quiete, una tastiera nevrotica e synth acuti, come scatti di follia; in “Total Blank” emerge un mondo passivo, indifferente alla vita: una tela bianca che pochi hanno il coraggio di dipingere, di infrangere, di imprimere con la propria creatività .
La tela deve rappresentare la presa di coscienza sul proprio essere, che si riempie con l’amore (“Feeling Lonley”), se pur con tutte le problematiche di coppia moderne, tra distanze e perdita di contatto tra amanti (“Until I Became”).
“L’AB” è un racconto dove tutto è collegato. Emerge Beatrice Antolini in tutta la sua interezza, con i suoi dubbi, quei dubbi che assalgono chiunque si metta in discussione pensando alle scelte fatte, ai se, ai ma, alla vita digitale dei Sims o alla realtà aumentata di “Player One”, libro di Ernest Cline prima e film di Steven Spielberg poi (“Second Life”).
In nove canzoni emergono pregi e difetti di questa società attraverso musiche fuori dal tempo: il suono le porta nel presente, ma la profondità e la voglia di staccarsi dalle ultime tendenze fanno pensare ad un modo di comporre più vicino a quello passato. Se nell’identità e nella versatilità trova i suoi pregi, in alcune parti l’album può sembrare ripetitivo, ostinato.
Il carattere non manca a Beatrice Antolini, si è presa tutta la responsabilità e i meriti sono tutti suoi.
Non ci sono vie di uscita da questo mondo virtuale, ma dobbiamo provare a goderci al meglio questo viaggio (“Insilence”).