Sesto album in studio per i britannici Editors, e per me il problema con loro rimane sempre lo stesso fin dagli esordi: la band capitanata da Tom Smith avrebbe, almeno potenzialmente, tutto per piacermi, ma da “The Back Room” fino a quest’ultimo “Violence”, non è mai riuscita a catturare il mio interesse, se non in rarissimi casi.
La band di Birmingham sembra essersi da tempo impantanata nel più classico degli equivoci, ossia quello che impedisce loro di decidere da che parte stare, quella del mainstream o quella del rock indipendente, e questo nuovo lavoro non aiuta di certo a risolvere l’annoso dilemma che si trascina almeno da dopo”In this light and on this evening”.
Lasciava ben sperare “Magazine”, brano nervoso e dalle venature vagamente dance che chiama in causa i connazionali Everything Everything, ma è bastato il secondo estratto intitolato “Hallelujah” per restituirci una band involuta, qui alle prese con un brano fracassone in pieno stile primi Muse.
“Violence” è un disco senza picchi, deludente a partire proprio da quelli che dovrebbero essere i brani guida, che manca di coraggio nel suo insistere su di un pathos d’ordinanza che rende ridondanti le sue tracce, con tutta una seconda parte che suscita nell’ascoltatore più di uno sbadiglio.
L’incedere pop di “Darkness at the door” e dell’iniziale “Cold” farà felice chi nella diatriba a cui faccio cenno poche righe più su parteggia per il mainstream, mentre le lunghe ed interessanti code elettroniche di brani come la titletrack o “Nothingness” fanno nascere nell’ascoltatore più smaliziato il dubbio che questo sia un lavoro volutamente condotto con il freno a mano tirato, forse per timore di perdere quel pubblico(ben più numeroso) di bocca decisamente più buona.
La voce di Tom Smith è, al solito, profonda ed evocativa, ma questo non basta a far volare un disco che non ha nemmeno l’ombra di brani come “Papillon” o “Smokers outside the hospitals doors”. La speranza è che almeno dal vivo le tracce di “Violence” acquistino quella verve e quell’energia che manca loro completamente; in concerto gli Editors sono una macchina perfetta, che non manca mai di lasciar andare a casa lo spettatore pienamente soddisfatto.