Eravamo già stati ben preparati dalla stessa Tracey sul fatto che il nuovo album non avrebbe mantenuto lo stesso tema acustico presente su “Love And Its Opposite”. Così è stato. La partita musicale si gioca sui campi tracciati da eroi come Pet Shop Boys, Alison Moyet o dagli stessi Everything But The Girl, mentre i testi sono: “nine feminist bangers“, citando la cantante stessa.
Elettro-pop anni ’80 che, sopratutto nella prima parte, si fa incalzante e trova piacevoli (ma non memorabili) spunti melodici, mentre ci pare ben più riuscita l’analisi della femminilità e degli stereotipi troppo spesso affibbiati alle donne, che si unisce a un senso di rivalsa al femminile, con la necessità (e la capacità ) di prender in mano il proprio destino senza farsi condizionare. Parole che, dette da lei, non suonano false o pretenzione, ma anzi, hanno un forte significato, proprio per una costante partecipazione politica e attiva dell’autrice alla vita sociale e alla piena comprensione del senso della parola femminismo.
Il disco si fa piacere anche nei momenti più intimi ed evocativi, in cui non è tanto il dancefloor a farla da padrone, quanto il momento in cui le luci si spengono ed è necessaria una decompressione.
Non sfigurano nemmeno le ospiti, ovvero Shura e Corinne Bailey Rae (“Sister” è la traccia migliore del lotto) . Tracey si conferma autrice elegante e, anche in territori così abusati e battuti, dimostra di avere ancora cose da dire.