Con un secondo album appena sfornato e un percorso di almeno tre anni alle spalle, sembra davvero essere giunto il momento di celebrare Black Foxxes e il loro oscuro alternative rock emozionale a cavallo tra sonorità post-rock e un emocore di chiara ispirazione Brand New. A nemmeno due anni dal meraviglioso debutto “I’m Not Well”, ecco “Reià°i”, seconda fatica in studio e un leggero cambio di rotta, sul piano compositivo e del songwriting. A celebrare l’uscita del nuovo disco, un tour europeo sontuoso, con tappa a Londra, nell’intimità della O2 Academy di Islington a nord della città . Un colpo mica da ridere, per una band solo pochi anni fa ha iniziato a metter il naso fuori dai confini della regione natale, il Devon, di fronte a una dozzina di persone a farla grande.
Feedback di chitarra e rumorose progressioni sonore non sono per tutti i palati musicali, eppure Mark Holley, Ant Thorntorn e Tristan Jane hanno scelto – in piena consapevolezza – di intraprendere un percorso che magari rimarrà appetibile a una nicchia, ma che sta mostrando il meglio (del meglio) attualmente sulla scena alternativa britannica.
Per me, questa serata in un venerdà sera di inizio primavera, è la quinta volta al cospetto della band. La O2 è gremita, e dopo le “mixed emotions” di Emily Isherwood e il vivace indie rock di stampo ’90s firmato Bloody Knees (una delle band più interessanti del roster di Distiller Records), ecco il trio fare capolino sul palco. Black Foxxes amano parlare con la voce della propria musica, picchiando sui piatti in maniera forsennata, facendo scorrere nelle vene dei presenti le loro pungenti linee di basso. Spaccando a metà i timpani, con chitarre distorte in feedback e la voce di Holley a spadroneggiare.
“Breathe”, intro del nuovo disco, è anche la traccia con cui la band rompe gli indugi, seguita in breve da “Maple Summer” e da quella “I’m Not Well” che – a due anni di distanza – rimane un meraviglioso esempio di come si possano (e debbano) scrivere pezzi che ti prendano a schiaffi il cuore. L’inedito animo più “pop” di Black Foxxes si manifesta con i singoli più immediati del nuovo album, quali “Manic in Me” e “Sà…la”, uno dei pezzi che affonda radici nell’Islanda che tanto ha rappresentato nel recente percorso artistico della band, in termini di ispirazione ed influenza.
La seconda parte della setlist, poi, mette in mostra quello che il trio ha costruito negli anni: un suono denso, fatto di continui cambi di registro e di stile, tra intense folate elettriche e sognanti echi di voci e chitarre. C’è tutto: dal primissimo brano scritto da Holley, “River”, fino a “JOY” e “Take Me Home”, tra i più incisivi momenti della serata.
Poi, il gran finale, con le sontuose (e immancabili) “Husk” e “Pines”, laddove cala il sipario su una band che continua a sorprendere e a sorprendermi, per intensità emotiva, per carattere e personalità . E infine, per quel genuino approccio a uno stile musicale peculiare, e destinato a diventare un loro marchio di fabbrica.