Il ritorno sulle scene dei Devocka si intitola “Meccanismi e desideri semplici” e suona come un’esplosione di sentimenti e rabbia. Il quintetto di Ferrara si tratteneva dall’ormai lontano 2012, anno d’uscita del precedente album “La morte del sole”; un periodo di pausa forse un po’ troppo lungo ma che, ascoltando queste undici tracce nuove di zecca, si è rivelato provvidenziale per l’evoluzione artistica di questi veterani della scena post-rock italiana, cresciuti al fianco di colleghi del livello del Santo Niente e Il Teatro degli Orrori. Una maturità che però non ha intaccato minimamente l’intensità e la forza d’impatto tipiche del sound dei Devocka, mai così ricco e profondo come oggi. L’eccellente produzione di Fed Nance esalta le melodie e le chitarre granitiche della coppia Matteo Guandalini – Stefano Selvatici; ma è il basso del nuovo arrivato Alessandro Graziano, pulsante e ruvido come quello del grande Sergio Vega (Quicksand, Deftones), a costituire l’inscalfibile struttura portante di “Meccanismi e desideri semplici”.
Sempre in bilico tra la ricercatezza del post-rock e la furia del post-hardcore, i Devocka del 2018 macinano riff e pensieri che, per quanto freschi e originali, portano il marchio del miglior alternative nostrano del passato. I frequentissimi momenti “parlati” (“Un bacio cieco e interminabile”, “L’apice del masochismo”) ci riportano indietro ai tempi d’oro dei Massimo Volume e dei C.S.I. più rock di “Tabula rasa elettrificata”, mentre alcuni frangenti new wave di brani come “Storia senza nome” e “Questa distinzione” danno un respiro quasi “britannico” al lavoro. La cornice perfetta per i testi di Igor Tosi – meno istintivi rispetto ai vecchi album ma ancora carichi di emozioni – è rappresentata però da una manciata di veri e propri “cazzotti in faccia” elettrici: le paure e le frustrazioni cantate in “Bestemmia”, “Maledetto” e “Nel vortice” si scontrano contro un muro di chitarre, basso e batteria, dando così vita a piccole perle di catarsi post-rock.