Da restare senza fiato. L’intensità che Jo Bevan mette in un concerto dei Desperate Journalist è capace di lasciare la gente senza parole, per non parlare della sua capacità di catalizzare gli sguardi, mentre si attorciglia le lucine intorno al collo o non smette di tormentare i suoi biondi capelli già così corti. Quando canta poi è magnetica, intensa e ci cattura senza apparente sforzo. Sottolineo ‘apparente’, perchè in realtà il concerto dei Desperate Journalist è per lei un vero sforzo fisico, sia per la sua carica vitale che è intensissima, ma anche e sopratutto per quel piglio e quella passione (una resa live sublime la sua, anche nei momenti più carichi così come in quelli dove i toni erano scuri e toccanti) che ci mette nel cantare che sembra si stia tatuando sulla pelle i suoi stessi testi.
Che meraviglia.
Il supporto musicale a tanto ardore e tanta sensibilità è magnifico. Rob Hardy è chirurgico a dire poco con la sua Rickenbacker e i confronti con eroi degli anni ’80 al suo stesso strumento sono tutt’altro che campati in aria, mentre Simon Drowner (basso) e Caz Helbert (batteria) non sbagliano un colpo e arrivano dritti al cuore con il loro pulsare costante e rabbioso. La scaletta poi è studiata alla perfezione per mostrare, praticamente a ritroso, il percorso eseguito dalla band: non a caso l’apertura è con l’ultima produzione, l’oscura e avvolgente “Incandescent” (brano che apre il nuovo EP) che abbraccia le visioni più toccanti e intime dei Joy Division, esaltandone lo spirito catartico e capace di esploderci dentro (senza intaccare e disperdere nulla dell’emotività altissima), mentre l’ultimo brano, la storica “Organ” (‘il primo pezzo scritto dalla band‘, ha precisato Jo), è tutto rabbia e tagli sulla pelle in piena carne viva, con pulsioni incontrollate che dovevano essere urlate fuori a gran voce. Tra questi due punti fermi ecco che si dipana il mondo dei Desperate Journalist, che abbraccia certo soluzioni ben chiare e conosciute a chi frequenta il post-punk, così come Cure, Smiths e Joy Division o Siouxsie, questo è innegabile, eppure nello stesso tempo sta dimostrando una forza e una vitalità tale da ampliare nel giro di due album in primis il livello melodico (esaltato stasera nell’esibizione live, con alcuni momenti in cui non farsi trascinare da questo fiume in piena generato dalla band era impossibile) e sopratutto dare concretezza a una personalità che assume contorni sempre più definiti e brillanti, con una padronanza del palco, per tornare appunto alla dimensione live, assoluta e una varietà di soluzioni che sorprende e da i brividi.
In un concerto che non ha avuto nessun momento di cedimento ci troviamo a segnalare i picchi più alti, ovvero quelli dell’assolo di “All Over”, con Jo che va tra il pubblico, l’intimità da nervi scoperti di “Radiating” (con solo Jo e Rob sul palco), le pulsioni contagiose di “Resolution” e il suo coro da gridare a pieni polmoni, per non parlare di “Control” o di “Why Are You So Boring?”, canzone già fissata nel cervello di tutti i presenti e osannata fin dalle prime note. Ripeto, è cercare i momenti della lode in una esibizione da 10.
Che nessuno li abbia ancora portati in Italia è un vero e proprio scandalo. L’ho già detto e lo ridico.
Photo: Stefan Bollmann / Attribution