La storia di Tonya Harding sarebbe stata avvincente anche sotto le spoglie di una biopic sportiva più canonica, ma il regista Craig Gillespie e lo sceneggiatore Steven Rogers non si sono adagiati sugli allori e hanno puntato a qualcosa di molto più accattivante.
“I, Tonya” racconta dunque la storia sportiva e umana della sua protagonista servendosi di false interviste, flashback affidati alla memoria dei diversi personaggi, offrendo visioni anche contrastanti, ad un ritmo indiavolato che fa sembrare il film più una black comedy che una vera e propria biopic.
Ad uscire condannata da questo affresco cinico non è però la povera Tonya Harding, ma l’America che l’ha fagocitata nella sua giungla di regole e aspettative attraendola con un sogno che non avrebbe mai potuto coronare, non rimanendo se stessa.
Tutti hanno detto della bravissima Allison Janey, strepitosa nel controverso ruolo della madre di Tonya che le è valso un Oscar, ma va senz’altro omaggiata anche la performance dell’attrice protagonista, una Margot Robbie sfacciata e sincera che, per costruire un personaggio sfaccettato e credibile, ha anche rinunciato, in parte, al suo dirompente sex appeal.