Squadra che vince…si cambia…e si vince ancora! Gli A Place To Bury Strangers mettono in formazione Lia Simone Braswell (tranquilli, Olivier Ackerman e Dion Lunadon sono sempre li) e trovano, dalla fanciulla, non solo una solida batterista che sa metterci del suo, ma anche una pregevole vocalist che arriva a dare un prezioso contributo, sia al contro canto sia in una veste da protagonista. Messa a posto la formazione ecco che “Pinned” va a parare comunque in territori conosciuti da chi bazzica la band, ma la cosa che sempre più appare lampante è che, al netto di tutte le influenze, più o meno rimarcabili e citabili, sempre di più gli APTB stanno sviluppando il loro sound, il loro marchio di fabbrica, a tal punto che loro stessi, ormai, possono e devono diventare termine di paragone per molte altre band che si avventurano nel genere post-punk, noise, shoegaze.
Il santino ideale di Ian Curtis che abbraccia Trent Reznor è sempre nella tasca dei pantaloni dei nostri, che sanno essere freddamente e algidamente wave e post-punk tanto quanto sonicamente shoegaze, con i battiti di basso e batteria che ci si piantano in testa e le chitarre che, quando serve, vanno in distorsione, saturando l’aria. La presenza di qualche melodia decisamente interessante non inganni, la band non cerca la luce, anzi, si crogiola nella sua cupezza e nei suoni secchi e taglienti che seccano l’erba circostante. Piace anche la compattezza e il minutaggio ridotto di alcuni brani (anche se i 5 minuti del devastante crescendo di “Never Coming Back” sono veramente d’antologia nel genere) che vanno davvero dritti al sodo, non dandoci nemmeno il tempo (quasi) di gustarceli in pieno se, per caso, la nostra attenzione fosse rivolta a bramare un ipotetico raggio di sole: non si scappa al nichilismo, ma anzi, testa bassa a scontare la nostra catartica pena!