Provate un attimo a mettervi nei panni dell’amministratore delegato della Warner Bros. Records sul finire del 1987. A chi non piacerebbe? Vendete dischi a palate, guadagnate cifre a sei zeri e vi godete una vita da sogno sotto il sole della California. La vostra gallina dalle uova d’oro si chiama Prince Rogers Nelson, ovvero l’artista all’epoca ancora conosciuto semplicemente come Prince: dall’inizio del decennio non ha sbagliato un singolo colpo, inanellando una serie di album epocali che hanno scalato le classifiche di mezzo mondo. Nel mese di marzo ha dato alle stampe il suo capolavoro, il doppio “Sign O’ The Times”, e ha concluso da poco una trionfale tournèe europea.
Da buoni dirigenti d’azienda sapete che conviene battere il ferro finchè è caldo, e il prolifico folletto di Minneapolis è sulla vostra stessa lunghezza di pensiero: vi ha già consegnato il master del nuovo disco, un esplosivo ritorno al funk scritto e registrato con il preciso scopo di riconquistare il pubblico afroamericano, allontanatosi dopo l’uscita di lavori considerati troppo pop come “Around The World In A Day” e “Parade”. Per non mandare su tutte le furie il lunatico divo seguite in ogni minimo dettaglio le sue indicazioni, anche quelle più stravaganti: la copertina dell’album dovrà essere completamente nera, senza alcun tipo di riferimento nè al nome dell’autore, nè al titolo. Insieme al suo management fissate la data d’uscita: l’otto dicembre 1987, giusto in tempo per sfruttare il traino dei regali di Natale. Fiutando l’affare, ordinate immediatamente la stampa di mezzo milione di copie da immettere sul mercato e iniziate a spedire i promo ai giornalisti.
Esattamente una settimana prima del lancio di quello che i comunicati stampa della Warner chiamano “The Funk Bible”, tuttavia, vi arriva la telefonata che mai avreste voluto ricevere. Prince ha cambiato idea all’ultimo minuto: una crisi mistica ““ un modo come un altro per dare un nome a una brutta esperienza con una pasticca di ecstasy ““ gli ha aperto gli occhi sulla vera natura dell’opera da poco conclusa. Dietro “The Funk Bible” non c’è la sua mano, bensì quella di un misterioso alter ego demoniaco: si tratta di Spooky Electric, un’entità depravata e oscura da tenere lontana dalla vista e soprattutto dalle orecchie dei fan. I rischi sono troppi e la soluzione è solo una: distruggere subito tutte le 500mila unità già pronte per la distribuzione nei negozi. Cancellare per sempre ogni traccia di una così lampante prova dell’esistenza del maligno per iniziare a lavorare in fretta e furia sull’album della redenzione spirituale, “Lovesexy”. A questo punto qualunque persona sana di mente si lascerebbe sopraffare dalla rabbia, con il desiderio di spezzare le fragili ossa del mingherlino genio del pop; ma per fortuna siamo nel 1987, la crisi della discografia è ancora lontanissima e potete permettervi – con riluttanza e un’enorme dose di pazienza – di dare il via libera al delirante Purple One.
Appena tre giorni dopo quella che sarebbe dovuta essere la data di pubblicazione di “The Funk Bible” – rimasto leggenda fino al 22 novembre 1994, quando fu finalmente messo in vendita con il titolo “The Black Album” – Prince si barricò negli studi di registrazione di Paisley Park, la sua enorme reggia in Minnesota, per uscirne solo sette settimane dopo con i nove brani ideali per il riscatto di un’anima peccatrice. Una rinascita artistica e morale che è ben rappresentata dalla celebre copertina di “Lovesexy”, un indimenticabile capolavoro del cattivo gusto: un Prince completamente nudo siede sui petali di un fiore gigante mentre, con leggero imbarazzo, prova a coprirsi un capezzolo. Quanta grazia, quanta innocenza per uno sboccatissimo individuo abituato a cantare di sesso orale, incesto e ragazze che si masturbano nelle hall degli hotel (da “Darling Nikki”, quinta traccia di “Purple Rain”)!
Non che qui non vi siano segni di malizia: in un verso della title track un arrapatissimo Prince, totalmente a suo agio con il bollente funk rock che gli fa da sottofondo, parla di una “macchina da corsa” che brucia le gomme nelle sue mutande ““ inutile stare a specificare il modello della vettura. I piaceri della carne tuttavia non sono più sufficienti per l’insaziabile polistrumentista tuttofare, che in “Lovesexy” si avventura in una gioiosa, coloratissima ricerca di un amore puro ““ divino addirittura, come sembra farci intendere nel clima di festa che fa da contorno ad “Eye No” – in grado di tenerlo lontano dalla confusione infernale nella quale Spooky Electric aveva partorito l’anticristo pop, quell’oscuro monolito nero intitolato “The Funk Bible” (o “The Black Album”) la cui lascivia si insinua nelle note di “When 2 R In Love”, sensuale ballatona strappamutande che ha sicuramente fatto da colonna sonora al concepimento di numerosi pargoli.
Le donne non sono più semplici oggetti di un desiderio incontrollabile, ma anime gemelle con le quali condividere qualcosa di più di una sveltina (l’estasi psichedelica di “Glam Slam”) e instaurare relazioni durature, cercando in armonia di superare le differenze (lo strambo rock elettronico di “I Wish U Heaven”). Una presa di coscienza importante ““ una vera e propria epifania ““ per un artista che ha sempre riservato un’attenzione particolare alla “femminilità ” della sua musica: basti pensare a tutte le collaboratrici che lo hanno affiancato in quasi quaranta anni di carriera, dalle storiche Wendy & Lisa fino al più recente trio delle 3rdeyegirl. In “Lovesexy” sono le percussioni di Sheila E. e l’intermezzo rap di Cat Glover nella hit “Alphabet St.” a tingere di rosa il funk “spirituale” di Prince, qui nella rara veste di autore sereno, ottimista e pacifista (ascoltare gli episodi impegnati – “Anna Stesia”, “Dance On” e “Positivity” – per credere) in piena sintonia con se stesso e il suo pubblico.
Prince ““ “Lovesexy”
Data di pubblicazione: 10 maggio 1988
Tracce: 9
Lunghezza: 45:03
Etichetta: Paisley Park Records, Warner Bros. Records
Produttore: Prince
1. Eye No
2. Alphabet St.
3. Glam Slam
4. Anna Stesia
5. Dance On
6. Lovesexy
7. When 2 R In Love
8. I Wish U Heaven
9. Positivity