Il ritorno di Liam Gallagher, l’ansia per il futuro dei Manic Street Preachers e l’ondata di band più o meno nuove che sono emerse al di là della Manica (tipo Wolf Alice, Fat White Family o Blossoms) rischiavano seriamente di spazzar via gruppi come i Peace. Che, complice anche la crisi di quell’NME che li aveva amati, sdoganati, messi in copertina più volte qualche anno fa, avrebbero potuto finire in quel pericolosissimo limbo musicale dove vengono messi gli artisti che hanno già dato tutto o che sono legati a un periodo storico ben preciso e presto a ricordarli saranno solo i più inguaribili nostalgici.
I Peace non si sono neppure posti il problema e arrivati ormai al terzo disco (dopo “In Love” e “Happy People”) scoprono quella che sembra essere una nuova maturità , artistica e musicale. Quei ragazzi di Birmingham che si divertivano a farsi fotografare con simboli della pace e cuoricini disegnati sulle mani sono veramente cresciuti stavolta. Harrison e Sam Koisser, Douglas Castle e Dominic Boyce tornano alla carica con un bel po’ di energia, chitarre in resta e ritornelli puliti e cotti al punto giusto. Non avere più le luci della ribalta puntate addosso li ha resi più liberi e i risultati si vedono, anche grazie alle sessioni di registrazione fatte in America con Simon Felice (produttore di Bat For Lashes,The Lumineers).
Se nei primi due album i Peace si ispiravano soprattutto a Foals e alla Manchester più colorata e pazzoide (quella degli Happy Mondays) in “Kindness Is The New Rock And Roll” guardano ancora più indietro, agli anni settanta (“Silverlined”) e ottanta (i riff di “Don’t Walk Away From Love”) senza farsi mancare un pizzico di pacifismo sixties (“Kindness Is The New Rock And Roll”). Non manca neppure l’influenza degli Ocean Colour Scene, evidente soprattutto in “Just A Ride”. Nulla di nuovo sotto il sole (nonostante Harry Koisser abbia dichiarato la morte del vecchio rock e la nascita del New Rock N Roll) ma tutto fatto bene, con più personalità che in passato in dieci brani che potrebbero essere tutti dei singoli (“Magnificent” su tutti col suo “So don’t Give Up On Me Just Yet“).
Radiofonici i Peace hanno sempre voluto esserlo, in questo terzo album però la ricerca di certi suoni e sensazioni sembra essere una scelta consapevole e non imposta dal mercato o dai discografici (c’entra indubbiamente il fatto che i quattro sono passati dalla major Columbia all’indipendente Ignition). Cresciuti anche nei testi, Harrison e Sam Koisser, Douglas Castle e Dominic Boyce sono pronti a lottare per lo scettro di portavoce della “Gen Strange”, per la gioia dei tanti teen e twenty-somethings che li seguono da tempo (e non solo). Ironici, divertenti e ora anche impegnati i Peace dimostrano finalmente che oltre al marketing c’era e c’è di più in quello che è il miglior album tra quelli finora pubblicati dai ragazzi di Birmingham.