“Houston abbiamo un problema, dove sono finite le chitarre dei Pinkshinyultrablast?“. Eh si. In questa terza fatica il trio di San Pietroburgo, composto da Lyubov, Rustam e Roman ci sorprende mettendo in primissimo piano synth, elettronica e ritmi decisamente dance e lasciando a riposo quelle chitarre che nei primi due album erano pronte a spazzarci via. Ci vuole davvero un po’ di tempo per riprendersi e per entrare nel mood di questo nuovo lavoro che esce in modo collaborativo tra Club AC30 e Shelflife Records.
Un cambio di rotta che trova le sue coordinate negli M83 e addiritura in una synth-wave figlia degli anni ’80 (“Eray”), capace di mutare forma in qualcosa di più avvolgente e sensuale (“In The Hanging Gardens”), mentre la voce di Lyubov è sempre una spanna sopra il cielo. “Dance A.M.” ha un piglio quasi alla Stereolab inebriati di dream-pop. Non possiamo certo dire che ai nostri sia mancato il coraggio e la voglia di cambiare piano di gioco. “Blue Hour” e “Earth and Elsewhere” sono ultraterrene ed impalpabili, veri e propri tappeti sonori avvolgenti in piena assenza di gravità e di ogni scosssa di mondana distrazione. C’è odore addirittura di J-pop in “Taleidoscope”, non a caso il pezzo più pimpante e colorato dell’intero album, cosa che permane anche in “Looming”, brano in cui però convivono più anime, visto che subentra anche una forte carica shoegaze, che nel resto del lavoro ha decisamente latitato.
Tutto bene allora? No, perchè al di là di mutamenti di forma più o meno apprezzabili e del fatto che i Pinkshinyultrablast restino una band derivativa, (succedeva anche prima), quello che ci pare mancare è la forza vitale e suggestiva che brillava nei dischi precedenti. Più rigore e meno creatività qui e la cosa non ci piace.