Con alle spalle un disco con l’ormai icona Folk-Rock Kurt Vile (“Lotta Sea Lice ” uscito ad ottobre dello scorso anno) la cantautrice Australiana ci propone il suo sophomore a tre anni da quel “Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit” che le permise, anche meritatamente, di conquistarsi molte attenzioni nel panorama rock alternativo : considerato un album tra i migliori del 2015, la popolarità della Barnett varcó i confini del continente abitato dai canguri tanto da ritargliarsi spazi importanti anche nei festival più prestigiosi in giro per il mondo.
L’uscita dell’album è stata preceduta da tre singoli, il primo, “Nameless, Faceless” risale al febbraio scorso. è un bel pezzo pop con un’anima grunge dove gli aspetti più scuri della quotidianità vengono qui esposti anche riprendendo una potente frase della scrittrice Margaret Atwood: Gli uomini temono che le donne rideranno di loro, le donne temono che gli uomini le uccideranno. Camminare nel parco insicura e timorosa, con le chiavi tra le dita pronta ad usarle come arma di difesa diventa un’immagine purtroppo reale. Il primo singolo ci fa capire che la cantautrice di Melbourne tratterà temi crudi e di natura personale confidandoci le sue paure più intime, paure che gli uomini non ne immaginano neppure l’esistenza, come intimorire donne nascondendosi dietro una tastiera : uomini senza nome e senza faccia, appunto. Se ascoltando questo brano ci pare di riconoscere la voce di Kim Deal (Breeders, Pixies) non vi state sbagliando. Courtney aveva collaborato nell’ultimo album delle sorelle Deal appena uscito ( la possiamo sentire nel brano “Howl at the Summit”): ora il piacere è restituito, possiamo pure ascoltarle in ” Crippling Self Doubt and a General Lack of Self-Confidence”, il settimo brano della lista dove possiamo anche ascoltare la frase che da il titolo all’album.
La Courtney non si allontana da quelle che furono le ispirazioni che portarono alla pubblicazione del suo debut album: suoni tipicamente anni 90, un indie-rock molto semplice, senza troppi ricami ( anche se in questo nuovo album c’è molta più attenzione ai suoni, rimangono essenziali ma molto più curati ), il suo stile pacato, malinconico e quasi svogliato è uno dei motivi del suo successo, un tocco particolare al suo songwriting che viene spesso paragonato a Lou Reed ed ai Pavement, che la stessa Barnett considera tra le sue principali fonti d’ispirazione.
A Marzo esce “Need A Little Time”, secondo singolo, e, secondo la mia opinione, miglior pezzo dell’album. è una richiesta, un bisogno di staccare da tutto e da tutti, trovare uno spazio dove essere soli con se stessi. Il video del brano ci mostra una Courtney astronauta che lascia il pianeta per trovarsi sola con la sua chitarra in un punto sperduto dell’universo con i piedi in equilibrio su un piccolo pianeta. La canzone è malinconica, orizzontale, anche il solo di chitarra, una semplice scala ascendente è tremendamente efficace.
Aprile: arriviamo al terzo singolo, “City Looks Pretty”. Il perdersi in una grande città , dove ” gli amici ti trattano come uno sconosciuto e gli sconosciuti ti trattano come il loro migliore amico”. Un brano che ha una seconda parte molto lenta, con chitarre svogliate e sornione.
Le premesse erano più che buone quindi ma l’ascolto dell’intero album non ci esalta alla stessa maniera
Si, certo “Charity” si ascolta più che volentieri, ma “I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch” colpisce più per il testo che per il pezzo nel suo insieme, “Help Your Self” parte debole e non decolla, “Walkin’ on Eggshells” invece parte in maniera interessante ma il refrain delude.
“Sunday Roast” conclude piacevolmente l’album, cosa non scontata visto che Courtney è vegetariana.
A parte la battuta, “Tell me” è un buon lavoro ma, onestamente, ci aspettavamo di più. Non era facile ripetersi, l’effetto sorpresa qui non si è potuto giocare e questo indie-rock targato anni 90 che Courtney ci ripropone ha bisogno di una nuova linfa. Per quanto riguarda i testi la Aussie non ha per nulla deluso, anzi, apprezziamo moltissimo la scelta di volersi esprimere in prima persona mostrando i lati più deboli, cosa non sempre così scontata.
Credit Foto: Pooneh Ghana