Gli album dei Parquet Courts cominciano ad essere tantini, sono difatti-tra collaborazioni, live, album sotto mentite spoglie etc- ben dieci in sette anni di onorata carriera. Ora, non siamo di fronte ai livelli di iperproduttività di un Ty Segall, ma se il mercato discografico è in crisi a questi quattro ragazzi provenienti dal Texas pare non importare il classico fico secco e fanno un po’ come pare loro, infilando un altro bel disco dopo quel “Milano” pubblicato a quattro mani con il nostro Davide Luppi solo pochi mesi fa.
Allontaniamo subito ogni dubbio, questo è un disco davvero cazzone, divertente e fresco, pieno di intuizioni felici, a partire dal punk funk in pieno stile Chk Chk Chk del primo estratto, l’irresistibile titletrack può essere infatti annoverata tra le cose migliori mai tirate fuori dai ragazzi di Denton, qui davvero a proprio agio nelle vesti di autori di party songs.
Ma attenzione, questo singolo non costituisce assolutamente l’unico asso nella manica del lotto, “Wide Awake” è un disco che ha il merito di rinverdire i fasti del suono di New York, quello incarnato anni addietro da Talking Heads, Velvet Underground, Sonic Youth e, perchè no, dagli Strokes di “Is this it?”(Vedi le chitarre Hammondiane di “Extinction”), album a cui questo lavoro deve più di qualcosa.
Se gli Arctic Monkeys cercano di scrollarsi di dosso l’etichetta di guitar band a colpi di una seriosità che ha destabilizzato buona parte del loro pubblico, i Parquet Courts continuano a giocare la parte dei ragazzacci di strada (“Almost had to start a fight/In and out of patience”, “Normalization”, “NY Observervation”), non disdegnando di lambire territori psichedelici (“Violence”) e classicamente pop (“Mardi gras beads”, “Death will bring change”, la genuinamente Bowiana “Tenderness” ), il tutto ben gestito dal ritrovato Danger Mouse, la cui regia regala colore e brillantezza a queste tredici briose tracce.
Photo Credit: Ebru Yildiz