Chiunque abbia un minimo di familiarità con la provincia a sud della capitale saprà che Ciampino ha ben poco da offrire oltre a un affollatissimo aeroporto monopolizzato dalle compagnie low cost e una stazione ferroviaria che fa da nodo tra i Castelli Romani e il resto della civiltà . Già da qualche anno però Ciampino è diventata anche sinonimo di memorabili concerti rock grazie all’Orion, un bello spazio dedicato alla musica dal vivo nato sulle ceneri di una vecchia discoteca truzza. Un palco tutto sommato abbastanza piccolo ma già calcato da decine di grandissimi artisti: Killing Joke, Swans, The Jesus and Mary Chain, Television e Buzzcocks, solo per citarne alcuni. A questa bella sfilza di leggende il 12 giugno 2018 si sono aggiunti i Bad Religion, impegnati in un corposo tour europeo per celebrare il trentennale di “Suffer”.
“Suffer” non è solo uno degli album più rappresentativi prodotti dalla band californiana, ma anche una meravigliosa pietra miliare di tutto il genere hardcore melodico. L’invito a un compleanno di tale importanza non è passato inosservato tra i fan romani, che hanno riempito con il loro entusiasmo un Orion non particolarmente gremito.
Siamo intorno alle ore 22 quando le luci iniziano ad abbassarsi. Parte una versione 8-bit di “My Sharona” dei The Knack e l’ansia dell’attesa si trasforma in frenesia. Ragazzi in tenuta da punk e signori un po’ attempati ma con tanta voglia di sfoggiare i loro chiodi da ribelli festeggiano l’avvio del concerto lanciando in aria bicchieri di birra e pogando come forsennati sulle note dell’inno anti-Vaticano “Sinister Rouge”. Neanche il tempo di riprendere fiato e i Bad Religion già ci mandano a quel paese con una tiratissima “Fuck You” (da “True North” del 2013, a tutt’oggi ultimo lavoro in studio).
Il cantante Greg Graffin, che quando non è on the road insegna paleontologia alla Cornell University, si muove su e giù per il palco facendo la spola tra i due chitarristi, il leggendario Brian Baker (ex Minor Threat) e la new entry Mike Dimkich (ex The Cult). Quest’ultimo, che trascorre l’intera serata con un panama in testa e una gomma da masticare in bocca, fa le veci del co-fondatore Brett Gurewitz, tornato in formazione nel 2002 ma troppo impegnato con la sua Epitaph per partecipare ai tour. A rubare la scena però è la scatenata sezione ritmica, formata da un Jay Bentley (basso) sempre in formissima e un Jamie Miller (batteria) davvero instancabile.
Quasi tutti i componenti dei Bad Religion hanno abbondantemente superato la cinquantina ma, per usare una tipica espressione romanesca, quando suonano dal vivo ancora gli “regge la pompa”. E il pubblico è sulla loro stessa lunghezza d’onda: in prima linea volano spintoni e spallate in allegria al ritmo di grandi classici quali “Stranger Than Fiction”, “I Want To Conquer The World”, “21st Century (Digital Boy)” e “Generator”. Qualcuno approfitta della calca davanti al palco per “surfare” su qualche testa, mentre uno sparuto gruppetto di vivaci signori dai capelli bianchi schiacciati contro le transenne si guarda alle spalle con leggera preoccupazione.
A tranquillizzarli ci pensa il buon Greg Graffin che, con l’estro di un papà gentile e premuroso, tiene a freno i più esuberanti coinvolgendoli nei cori delle attesissime “Infected”, “Sorrow” e “American Jesus”. Dopo un’oretta bella intensa i Bad Religion si ritirano giusto qualche minuto per ricaricare le batterie e preparare i presenti alla portata principale del menù: l’esecuzione integrale di “Suffer”.
I 15 brani del capolavoro targato 1988 scorrono come fossero stati registrati ieri. Poco importa se gli unici due superstiti dell’epoca sono Graffin e Bentley: i loro esperti colleghi non fanno rimpiangere gli assenti, rispolverando con cura piccole perle che non apparivano in setlist ormai da anni. E proprio con una di queste, la brevissima “Pessimistic Lines”, i Bad Religion salutano gli scatenati amici romani.
Sono passate da poco le undici e mezza e, sulle note del bellissimo tema di “Un uomo da marciapiede”, gli spettatori esausti ma felici si avviano verso l’uscita. Qualcuno è deluso per l’inspiegabile assenza in scaletta di alcuni cavalli da battaglia (“Punk Rock Song”, “Los Angeles Is Burning” e “We’re Only Gonna Die” tra i tanti), altri hanno i piedi doloranti, altri ancora probabilmente hanno qualche costola incrinata. D’altronde il vero hardcore non è solo divertimento, ma anche una montagna di sofferenza. Il professor Greg Graffin ha impartito una dura lezione al pubblico di Ciampino: The masses of humanity have always had to suffer.