Nonostante le previsioni del tempo non lasciassero molte speranze il concerto degli Lcd Soudsystem si è tenuto senza alcuna interferenza meteorologica, segnando la netta vittoria del coraggioso pubblico proveniente da ogni parte d’Italia sui numerosi siti meteo che paventavano una notte di tregenda per tutti gli accorsi all’evento.
Gli unici fulmini sono stati quelli che James Murphy e compagni hanno lanciato su di noi, una scarica elettrica fatta di chitarre, synth, doppie batterie e bassi grassi, una vera e propria tempesta punk funk che ha trasformato Piazza Castello in una bolgia ballerina.
Assenti dai palchi italiani da ben otto anni, gli LCD scelgono di tornare proprio sulla scena della loro ultima esibizione nostrana, calcando così di nuovo il suggestivo palco Estense e presentandoci una scaletta eclettica, concentrata soprattutto sul repertorio classico della band, centellinando invece gli estratti dall’ultimo “American Dream”, dal quale vengono pescate solo cinque tracce.
L’apertura è affidata ai nove minuti di “You wanted a hit”, brano a cui è affidato il compito di far scaldare i motori ad un pubblico impaziente di sfrenarsi, cosa che, puntualmente, accade con l’attesa “Tribulations”.
In molti continuano a puntare gli occhi al cielo, il timore che le cateratte del cielo si possano aprire all’improvviso riversandoci addosso tutto il disappunto della volta celeste è vivo, ma a distrarci da questi pensieri ci pensa lo zio James con “Call the police”, incredibile apocrifo Bowiano che esalta tutti i presenti, così come le scatenate versioni live di “Movement” e “Tonite”.
Via via che si avvicina il momento dei (momentanei) saluti gli LCD giocano le carte migliori tra quelle a loro disposizione, sul banco vengono calati i tropicalismi alla Talking Heads di “Home” e i Joy Division in combutta con i Suicide di “How do you sleep?”, regalandoci così un finale da brividi prima dell’ultimo saluto per “andare un attimo alla toilette”, come ci tiene a sottolineare James Murphy.
Pronti, partenza, via, la band evidentemente non ha trovato la fila al bagno, i nostri sono di nuovo ai blocchi di partenza per consegnarci un finale all’altezza della loro fama: una dopo l’altra ecco “Oh baby” e “Emotional haircut” direttamente dai solchi del Sogno Americano, gli undici minuti di “Dance Yrself clean”, evocanti un David Byrne narcolettico, e il finale catartico affidato ad una “All my friend” cantata a squarciagola da tutto il pubblico.
Mancano i Daft punk che suonano a casa nostra o New York che ci butta giù, ok, ma poco importa, questa sera doveva venire giù dal cielo il diluvio universale ma, alla fine, le uniche gocce sono state di sudore e lacrime.