Rieccoli qui. A poco meno di un anno dall’uscita dell’acclamato “Relatives In Descent”, i Protomartyr tornano a scaldare i motori con questo nuovo EP di quattro tracce intitolato “Consolation”. Per l’occasione Joe Casey e soci si sono circondati di un manipolo di illustrissimi amici, organizzando una vera e propria festicciola post-punk a base di chitarre nervose e proclami anti-Trump. Nella lista degli invitati spiccano Mike Montgomery degli Ampline, Kelley Deal dei Breeders e la violoncellista Lori Goldston, ex membro degli Earth che in molti ricorderanno anche al fianco dei Nirvana in quello storico MTV Unplugged registrato a New York nel novembre 1993.
Con una sfilza di ospiti di tale i rango a offrire consigli e supporto, i Protomartyr si tolgono lo sfizio di introdurre qualche piccola sfumatura inedita nella loro tavolozza. Nel ritornello di “Wheel Of Fortune” la voce squillante di Kelley Deal fa da contraltare al timbro grave di Casey, ideale anello di congiunzione tra Nick Cave e Ian Curtis; c’è aria di tensione fortissima, la coppia ci sbraita nelle orecchie, quasi minacciandoci ““ sono loro che decidono “chi vive e chi muore” – prima di perdersi in un bridge che sembra il frutto di un incubo psichedelico che piano piano si dissolve.
Inquietudine e oscurità sono marchi di fabbrica del post-punk dei Protomartyr, nel quale la lezione britannica di fine anni “’70 si unisce ai suoni grezzi e sporchi di quel garage rock che proprio nella loro città , Detroit, tanto tempo fa visse uno dei suoi periodi migliori. In “Consolation” però iniziano a uscire fuori con sempre maggior insistenza quelle crepe melodiche già presenti in alcuni brani di “Relatives In Descent”. Tra le rullate tribali di “Wait” e gli intrecci di chitarre che trasformano “Same Face In A Different Mirror” in una festa per le orecchie, si ha costantemente l’impressione di trovarsi in bilico tra due mondi: uno oscuro, duro e sostanzialmente infelice, da sempre sotto la lente d’ingrandimento nei testi di Casey; l’altro nel quale invece torna a esserci un filo di speranza, abbastanza forte da dare sollievo ai nervosissimi Protomartyr e spingere il loro salmodiante vocalist a cantare versi come But there’s something coming up/The feeling there is love/The feeling I’m in love/We are love (dalla già citata “Same Face In A Different Mirror”).
E anche quando la rassegnazione torna con prepotenza in “You Always Win” – con un Joe Casey che, nei panni del crooner navigato, si muove tra i coretti di Kelley Deal e le inaspettate incursioni di clarinetto, viola e violoncello ““ a prevalere è sempre un senso di vicina rinascita. E alla fine di questi quattordici minuti ci sentiamo persino consolati, per quanto strano possa sembrare: se continuano su questa strada, i Protomartyr potrebbero riservarci ancora qualche bella sorpresa in futuro.