Avete presente la parola “Capolavoro”? Ecco molto spesso la si usa in contesti assolutamente insensati (come ad esempio “Mhh Ah Ah Ah” di Young Signorino) oppure, la maggior parte delle volte, appare dove la massa si aggrega per nominare ciò che gli aggrada (principalmente il ‘nosense’ oppure l’hit del momento), ma oggi questa parola la userò per una buona causa, perchè di un capolavoro si tratta: parlo di “What a Bunch of Bulldada” di Bulldada.
Partiamo dal principio, chi sono i Bulldada, anzi, chi è Bulldada? Perchè si, cari miei, questo album è stato composto arrangiando, scritto e composto da un solo essere, Mike Osso, un newyorkese pazzerello, polistrumentista, che ha sfornato questo gioiellino, purtroppo non so altro sulla sua persona, se non che fa parte anche dei Father Figure, ma direi di lasciar parlare la musica in questi casi, che ne dite?
Questo album si può definire prog? Assolutamente si, anzi, va oltre il concetto stesso di progressive perchè “mancano” i concetti che lo possono definire tale, ad esempio: pezzi da più di venti minuti , “concept album” e altre cose che non sto ha spiegare perchè sono infinite, (un qualsiasi Prog Snob saprebbe spiegarvi meglio questo concetto, anche se, mio malgrado, anch’io ero un Prog Snob). Tornando sul disco, cosa lo rende così speciale? Per prima cosa il suo approccio complesso ma immediato, si, perchè a livello compositivo e strutturale i pezzi sono abbastanza “difficili” (lo metto tra virgolette, dai) eppure ti entrano in testa con una facilità disarmante, e secondo punto, fondamentale a mio parere, il suo essere innovativo rispettando la tradizione, quella vera. Mi spiego. Tutto l’album è estremamente lo-fi, però non fatto a tavolino, (che va tanto di moda), ma quello registrato con pochi microfoni vecchi, con mezzi estremi, cosa che gli da un fascino unico. Questo mi riporta in mente Jay Reatard: pezzi corti, immediati e per il suo genere unici e direi che il paragone è calzante, anche se poi dentro ci sento addirittura un po’ di Eagles, Yes e Genesis e, aggiungo, pure Capitan Beffheart, cosa che non fa mai male.
Concludo questa recensione così: ascoltatevelo, ne vale davvero la pena, ma sopratutto supportate progetti del genere, perchè ci servono più musicisti come Mike Osso rispetto ai soliti noti che vanno avanti a cose banalotte e scontate.