Ex batterista di Craft Spells, Peter Michel ““ questo il nome del ventiquattrenne musicista di Seattle che si nasconde dietro al moniker di Hibou ““ dopo un EP, “Dunes”, realizzato nel 2013, ha pubblicato nel 2015 il suo omonimo debutto sulla lunga distanza, registrato nella casa dei suoi genitori.
Lo scorso marzo, invece, è arrivato questo suo sophomore, influenzato dalla sua battaglia contro la depressione, l’ansia e la depersonalizzazione (un disordine che fa sentire la mente e il corpo come due enti distaccati ““ un po’ come guardare dentro se stessi dalla prospettiva di un estraneo).
Come ben sa chi ha già avuto o sta avendo queste sgradite compagne di viaggio, sicuramente non devono essere stati anni molto facili per il ragazzo dello stato di Washington: dopo numerosi consulti con medici e terapie che non l’hanno portato da nessuna parte, Hibou ha deciso di scrivere questo suo sophomore, sperando che servisse come una sorta di liberazione da questi fatti negativi.
Così purtroppo non è stato, ma Peter, andando all’Hall Of Justice – lo studio di registrazione di proprietà di Chriss Walla (Death Cub For Cutie) ““ insieme alla sua live-band, grazie a una migliore qualità nella produzione e al live-drumming (cortesia di Jay Clancy, frontman degli Slaucher), è riuscito a lavorare maggiormente con i synth, che hanno aiutato i suoi brani a fiorire e a svilupparsi e a creare una maggiore chiarezza strumentale.
Già a partire dal recente singolo e opening-track, “Malison”, dalle influenze shoegaze, iniziamo a respirare un’ambientazione sognante e dolce, in cui si puo’ iniziare a percepire la voglia da parte di Michel di uscire da questa sua situazione poco gradita.
Anche brani come “Amethyst” e “Glamour”, pur essendo ricoperti da un visibile velo di malinconia e da un senso di nostalgia dai sapori “’80s, riescono comunque, grazie alle loro melodie cristalline, a elevare il loro umore.
Alla fine dei conti rimaniamo soddisfatti di questo secondo sforzo (e non potremmo definirlo altrimenti!) sulla lunga distanza di Hibou, anche se (purtroppo) il musicista di stanza a Seattle non ha del tutto raggiunto il suo personale obiettivo ““ quello di riuscire a stare meglio attraverso la scrittura dei nuovi brani: qui non solo è evidente la sincerità nel suo songwriting, ma anche il tono del suo sound è progredito, sviluppandosi verso orizzonti più larghi e interessanti. Una quarantina di minuti più che gradevoli ed esteticamente belli.