Da una parte “Le chitarre nel rock sono morte”, dall’altra “il 2018 è l’anno delle fanciulle con le chitarre”. Il mondo adesso va così. A mettere su punti alla seconda affermazione ci pensa Soph Nathan, che già conosciamo per essere la chitarrista delle divine Big Moon, che, assieme a Josh Tyler e Lauren Wilson, da vita a uno dei dischi di guitar-rock più intensi e trascinanti dell’anno.
Le premesse che saremmo andati incontro a qualcosa di ottimo si erano già intraviste dai singoli apripista e notare che tutto è stato confermato, beh, è ovviamente una gran bella soddisfazione per chi voleva un disco che sapesse unire una forte carica introspettiva nei testi a bordate chitarristiche rumorose (decisamente anni ’90) che sapessero fare da contorno a melodie incisive.
Fuzzy guitar che sanno dispensare, con mirabile equilibrio, la dolcezza e il rumore, l’oscurità e spiragli accecanti, il trattenere il fiato e l’esplosione in un urlo stordente. Pochissimi i punti di contatto con Big Moon, forse ritrovabili nella prima parte (magnifica e scarna) del brano “Level”, che potrebbe appartnenere al repertorio di Sleeper oscuri e malinconici. Per il resto l’album è a tratti rabbioso e graffiante, con muri chitarristici imponenti e corposi a tal punto che l’ascoltatore stesso, per rimprendere fiato, abbraccia con trasporto, in quel saliscendi emozionale che caratterizza un po’ la nostra quotidianità , anche i momenti intimi e contenuti, che lo avvicinano ancora di più alla sensibilità musicale fatta di forte/piano di Soph (“Two Life” e sopratutto la conclusiva “Boring” sono brani emblematici in questo senso).
Momenti da brivido? Molti. Ma quell’accelerazione finale di “In My Head” è davvero micidiale.
Soph Nathan è artista raffinatissima: il suo mondo pulsa forte e intenso e, trasportandolo in musica, c’invita a toccarlo con mano. Fatelo, l’esperienza sarà meravigliosa.