Ben Gibbard e i suoi testi sono diventati un monumento dell’indie rock e nel corso degli anni i Death Cab for Cutie sono riusciti a costruirsi un mood unico che noi, per celebrare l’uscita del nuovo album (tranquilli la recensione sarà online tra qualche giorno), abbiamo voluto raccogliere e ricapitolare in 10 tracce da riscoprire e riascoltare per tuffarsi, ancora una volta (o per la prima volta), nella discografia della band di Bellingham.
La band di Wolla e Gibbard sicuramente non è una band indie rock convenzionale e noi abbiamo cercato di pescare canzoni altrettanto particolari, provando a scavare proprio su quel filo rosso che passa tra l’emotività e i paesaggi sonori più duri.
10. Passenger Seat
2003 da “Transatlanticism”
“Traslatanticism” è un disco verso cui ogni fan ha una devozione religiosa. Passenger Seat è una canzone dall’altissimo coefficiente emotivo che ci espone in modo diretto ad ogni pregio e difetto della band.
9. Different Names for the Same Things
2005 da “Plans”
“Plans” non è un disco indelebile, ma questo brano è in un certo senso legato alle atmosfere semplici e ambientali di “Passenger Seat”. Nella mia mente infatti sto cercando di creare un filo rosso, una narrazione per questa playlist/top ten. Credo sia difficile scegliere 10 brani con criteri oggettivi e allora cerco un mood e penso che con questi due spunti siamo partiti in un modo sorprendentemente deprimente.
8. Prove My Hypothesis
2002 da “You Can Play These Songs With Chords”
Il pezzo è un ritorno al passato, un riallacciarsi alla sala prove della band. Anche ora che si cercano suoni più complessi e studiati si torna sempre ai primi ricordi, alle mani sulle valvole dell’ampli e ai suoni primordiali che ci formano e rappresentano. Pezzo da post-adolescenza di classe.
7. Brothers on a Hotel Bed
2005 da “Plans”
L’amore morto che si decompone in una fraternità , la vecchiaia che inaridisce i corpi: l’esperienza del gruppo è capace di creare una ballad atipica che potete dedicare al vostro futuro e se in “Prove my Hypothesis” avete cercato la vostra adolescenza, qui troverete un post-sentimento. Dopo questo pezzo non sarete più capaci di provare emozioni.
6. The New Year
2003 da “Transatlanticism”
In un pezzo straordinariamente semplice capiamo quanto è valoroso il modo di fare musica di Gibbard e co: tre accordi sparati in cielo a volumi abbastanza alti e una serie di ghirigori poetici che accendono un pezzo dalla struttura che poche band possono rendere efficace.
5. A Lack Of Color
2003 da “Transatlanticism”
Ancora “Transatlanticism” e oggettivamente questo pezzo potrebbe benissimo essere la degna conclusione di ogni discussione, di qualsiasi ricerca sulla natura dei Death Cab For Cutie. Questo pezzo mostra come ogni brano di questo disco, e non solo, sia impossibile da riprendere, risuonare, reinterpretare. “A Lack of Color” è un pezzo unico di bellezza, rarità pura.
4. Tiny Vessel
2003 da “Transatlanticism”
Per attaccamento personale il podio inizia qui, non è una medaglia di cartone per questo brano che riesce a essere versatile e perfettamente posato su tutti gli abiti indossati dal gruppo nel corso degli anni. Un gioco di ambivalenze funzionali e emozionanti.
3. Company Calls
2000 da “We Have The Fact And We’re Voting Yes”
Ad aprire il podio c’è una scarica di ritmo e precisione. Una canzone molto ordinata, che mostra come anche con le strutture più classiche le parole, le intenzioni e le idee della band diventano incandescenti.
2. Blacking Out The Friction
2001 da “The Photo Album”
Il Photo Album è una perla che va riscoperta e preservata. Come un anziano signore che colleziona monetine e foto va ascoltato, perchè c’è dietro una storia personale e della band stessa che non può essere seppellita, nemmeno dalle riformazioni e dai cambiamenti sonori.
1. Champagne for a Paper Cup
1998 da “Something About Airplanes”
Una canzone inaspettata e sicuramente non un evergreen per tutti i fan, ma lo champagne nel bicchiere di carta (per dircelo male) è la prima canzone che mi ha fatto amare i Death Cab for Cutie.
Un brano solido che si espone alle tipiche fragilità della band e alla fine la scoperta è proprio lì, nel bello del ritrovarsi in un suono che ti eleva dalla malinconia comune e riesce a rendere speciale ogni piccola paranoia, ogni scoperta su te stesso. I Death Cab sono un gruppo di formazione, pedagogico e sicuramente oggi abbiamo bisogno di un esempio così.
Credit Foto: Eliot Lee Hazel