Periodicamente riviste e giornali musicali ci informano che il rock è morto. Capita anche che qualcuno annunci la scomparsa di soul e blues almeno nelle loro forme più pure e meno contaminate. Generi che in America godono però di ottima salute e che, negli ultimi anni, sono tornati di moda grazie a Alabama Shakes o Nathaniel Rateliff & The Night Sweats. Di questa allegra e variegata truppa di “revivalisti” con brio fanno parte anche i St. Paul & The Broken Bones da Birmingham (Alabama). Musicisti un po’ sopra le righe (come si intuisce dalla foto di Mc Nair Evans qui sopra) guidati dal bassista Jesse Phillips e da Paul Janeway, frontman dotato di una voce potentissima capace di far alzare dalle sedie anche i più recalcitranti spettatori.
Dopo un esordio soul nel cuore e nell’anima (“Half the City”) e un secondo album più funky ma sempre trascinante (“Sea of Noise”) i St. Paul & The Broken Bones si affidano a Jack Splash, produttore molto quotato nel mondo hip hop e R&B (ha lavorato con Solange, Kendrick Lamar, Diplo) per “Young Sweet Camellia” che fin dal titolo è un omaggio alle loro origini (la camelia è il fiore ufficiale dell’Alabama). Mossa coraggiosa che poteva finire molto male come succede a volte quando mondi così diversi tra loro s’incontrano scoprendo di avere poco in comune.
Invece funziona più che bene: Splash riesce a far emergere ancor più che in passato il lato giocoso e irriverente dei St. Paul & The Broken Bones che si divertono come ragazzini a omaggiare i Bee Gees (“GotItBad” e “Apollo”) con Paul Janeway che ha modo di mettere in mostra il suo acuminato falsetto spalleggiato da una sezione fiati sempre talentuosa (Allen Bransetter alla tromba, Chad Fisher al trombone e Jason Mingledorff al sassofono, sostituito da Amari Ansari ad album ormai concluso). L’influenza di Jack Splash si sente soprattutto nel mixaggio della batteria di Andrew Lee (che ricorda il beat di tanti album hip hop) negli arrangiamenti di “Concave”, “Mr. Invisible” e “LivWithoutU” che dimostrano quanto i St. Paul & The Broken Bones sappiano essere versatili senza snaturarsi.
Tra un sorriso e l’altro Paul Janeway fa i conti col suo passato familiare (le conversazioni col nonno che punteggiano il disco) e col presente di uomo liberale e democratico in uno stato storicamente repubblicano. Chi ha voglia di qualcosa di più tradizionale troverà pane per i propri denti in ballate intense come “Hurricanes” o “Bruised Fruit” e in una “Convex” molto funky. Ridendo e scherzando i St. Paul & The Broken Bones prendono il soul e lo trasportano nel terzo millennio in un disco moderno, ottima colonna sonora per le prime settimane di settembre ancora in bilico tra estate e autunno.