Tornare e farlo dopo aver pensato di andare via.
Tornare dopo aver prodotto artisti del calibro di Motta.
Iniziare, anzi ricominciare a fare ciò per cui, forse, ha senso vivere la sua vita.
Questa potrebbe essere la sintesi perfetta del ritorno sulla scena di Riccardo Sinigallia e del suo “Ciao Cuore”. Emozionarsi ancora dinanzi a qualcosa, come quando facciamo esperienza di un odore dopo anni e ci rimanda al nostro passato. L’udito, così come l’olfatto, ci permette questi salti all’indietro. Rivivere sensazioni note ma con una maturità diversa. Siamo cresciuti noi, è cresciuto Riccardo Sinigallia.
“Ciao Cuore” è un piccolo laboratorio di emozioni dove l’elettronica e un modo di cantare “altruista” hanno preso il sopravvento. Esperimento riuscito: l’album è un piccolo viaggio intorno agli altri, meno personale stavolta. Come se volesse toccare un po’ tutti da vicino ma, al tempo stesso, evitarli come uno sciatore in piena discesa: velocità , adrenalina e una buona dose del vecchio Sinigallia (che non guasta mai).
Avventurarsi nell’album è un piacere.
“So delle cose che so” pone al centro tempo e distanza. Non bada alle parole, quelle non esiston, o meglio, agiscono ma dall’esterno, come se fossero satelliti che gravitano intorno a noi.
“Niente mi fa come mi fai tu” è un inno a lei, capace di azioni come il toccarci in maniera unica ma anche interrompere la vita a colpi di realtà . Lei è lei, riesce in tutto e dobbiamo solo accettare questa dipendenza da seratonina che ci causa la sua presenza.
In “Bella quando vuoi” la domanda da porre a chi abbiamo a cuore è: hai risolto i sentimenti?
Lei che si trasforma per raggiungere quella sacralità che ci stuzzica e porta anche noi a mutare, per fare in modo di averla. Lei al centro della nostra ricerca, lei da trovare in tutte le posizioni e luoghi, in base alle situazioni.
“Che male c’è” è un conflitto.
Una lotta con il tempo, una lotta con noi stessi, una lotta con coloro che ci porteranno alla distruzione.
Un concentrato di masochismo che si abbatte su di noi. Libertà deturpata e stoppata da chi ha deciso, senza farsi troppi problemi, che quella vita doveva spegnersi, che Federico Aldrovandi doveva morire, troppo presto, e prendersi uno spazio della nostra memoria, della loro memoria, perchè può finire una vita ma non il suo ricordo.
“Troppo tardi per fermarsi, troppo presto per andare.
Resto sveglio e grido forte la mia voglia di sentire che male c’è,
sto parlando con me, maledico le occasioni per potermi rimettere al mondo.
Non escono da sole parole importantissime e non è colpa mia se tutto è così difficile.
Adesso pensi di far male con il tuo obbedire ad un ordine sbagliato.
Non c’è soluzione a quello che hai iniziato, così mi ucciderai.”
“A cuor leggero” corrisponde esattamente al concetto di perdita.
Un volo pindarico destinato tristemente all’abisso. Salire vertiginosamente e precipitare inesorabilmente.
“Perdersi sempre, ancora, prima di non perdersi mai più”.
Si chiude così “Ciao Cuore”.
Uno schiaffo fermo, stordisce e ci lascia a terra.
Poi magari torna lei, pronta a tenderci la mano.
Oppure forse la troveremo solo alla fine del nostro stesso braccio, la mano”…