Registrato tra il Minor Street di Philadelhia e il Long Pond nella Hudson Valley, New York, questo quarto album dei We Were Promised Jetpacks arriva a distanza di quattro anni dal precedente, “Unravelling” ed è stato prodotto e mixato dal noto Jonathan Low (The National, Sufjan Stevens, Kurt Vile, The War On Drugs).
Ormai quasi trentenni, questi quattro ragazzi scozzesi hanno iniziato il gruppo ai tempi delle scuole superiori e, caso raro in questi giorni sono ancora lì a suonare insieme: dopo aver buttato un intero album di materiale, della cui bontà non erano convinti, la band nativa di Edimburgo ha scritto questo suo nuovo lavoro che ““ ci fa sapere la press-release ““ “ci vede ritornare alle nostre basi e conta sui nostri istinti.”
La opening-track, “Impossible”, con la sua sinuosa sezione ritmica e le sue chitarre post-rock, riesce subito a creare un’atmosfera che ricorda in più di un momento il loro ottimo debutto “These Four Wall”, datato 2009.
In “Someone Else’s Problem” troviamo una continua spinta in avanti, con l’intensità che continua a crescere, mentre l’aspetto emotivo rimane profondamente importante; “Not Wanted”, invece, rallenta i giochi ed è più riflessiva rispetto alle canzoni che la precedono, quasi a voler prendere un momento di pausa prima della conclusione del disco.
“Repeating Patterns” poi ha un’anima più punk e aggressiva: ogni secondo del brano contiene energia e una sensazione di elettricità la pervade anche nei momenti più melodici.
Il primo singolo “Hanging In” è probabilmente la traccia migliore dell’album, con la sua leggera e malinconica melodia e le sue strutture che continuano a cambiare nel corso dei suoi cinque minuti.
Un altro lavoro solido, intelligente e mai banale per i We Were Promised Jetpacks, che dimostrano come il percorso che stanno seguendo li porti a progredire a ogni tappa.