La scena indie-rock spagnola è in continua crescita e, in particolare da Madrid, continuano a uscire nuove band molto interessanti, che riescono poi a trovare buoni consensi anche all’estero. Dopo l’esplosione di Hinds e The Parrots, negli ultimi anni tra le migliori rivelazioni troviamo senza dubbio i Baywaves. Il giovane gruppo di stanza nella capitale ha pubblicato, per l’indie-label inglese Art Is Hard, il suo secondo EP, “It’s Been Like” e noi di Indieforbunnies.com abbiamo approfittato di questa occasione e lo scorso giugno abbiamo fatto una lunga chiacchierata via Skype con il gentilissimo bassista Fran Bassi, argentino di origini italiane, che, con perfetta padronanza del nostro idioma, ci ha raccontato molti dettagli interessanti dei Baywaves e della loro musica. Ecco cosa ci ha detto:
Ciao Fran, benvenuto sulle pagine di Indieforbunnies.com. Per prima cosa volevo chiederti se potevi introdurre la vostra band ai nostri lettori.
Io sono Fran, il bassista dei Baywaves, siamo una band di Madrid. Io sono argentino, ma la metà della band proviene dal nord della Spagna, ma abitiamo tutti a Madrid. Siamo insieme da circa tre anni. Il nostro primo EP è uscito un paio di anni fa e ne abbiamo realizzato da poco un altro, che si chiama “It’s Been Like”. In questi due anni abbiamo suonato in tutta la Spagna, siamo stati al Primavera Sound e anche a Benicassim. Inoltre siamo andati in tour in Portogallo, in Germania, in Francia, in Inghilterra e quest’anno siamo stati anche negli Stati Uniti al South By Southwest di Austin in Texas. Il genere che facciamo è pop psichedelico, ma noi lo chiamiamo hipnopop. Sono delle canzoni pop rivestite con delle trame. Ci piace giocare con l’elettronica e con delle trame che evochino gli anni ’70, di cui siamo grandi fan. Ci piacciono l’ L.A. Sound, il southern rock, ma anche le sonorità jazz. Facciamo delle canzoni pop che si vestono con queste strutture.
Intanto che abbiamo parlato di Austin, ti volevo chiedere come vi siete trovati e se pensate che sia troppo frenetico oppure se è stata un’esperienza che vi è piaciuta.
Tutte e due le cose. E’ veramente frenetico, ma ci è piaciuto tanto. Io ero stato un paio di anni fa con un’altra band, ma avevamo fatto meno concerti, quindi avevo avuto un’impressione diversa rispetto a quella di quest’anno. Abbiamo suonato dodici volte in cinque giorni. Una giornata abbiamo suonato tre volte in appena quattro ore. E’ stato veramente frenetico. Però a noi viaggiare piace tantissimo, potevamo mangiare cibo da tutte le parti. Eravamo insieme alle Hinds e a un’altra band di Madrid che si chiama Favx, che fa grunge-punk anni ’90. Sono tutti nostri amici e quindi in quel senso è stata davvero una bella esperienza. Abbiamo comunque capito che possiamo suonare in qualsiasi posto: per esempio abbiamo suonato in una venue con un ottimo suono e in seguito in un bar, dove c’era un palco di un metro per un metro con degli amplificatori di 40 anni fa, ma nonostante ciò, è andato tutto bene. Dall’altra parte il pubblico, che a volte era composto solo da poche persone e altre da un centinaio, ha risposto veramente bene ai nostri show. Per noi è fantastico sapere che, anche a duemila chilometri da casa ci siano persone a cui piace la musica che facciamo.
Credo che sia stata una bella soddisfazione.
Assolutamente. E’ stato un notevole sforzo per noi. Dal momento in cui passi la dogana, che ti rende abbastanza nervoso, fino a girare per Austin con tutte le borse pesanti, è veramente uno sforzo, ma ci ha reso molto felici.
Avete fatto anche altre date negli Stati Uniti?
A dire il vero no. Avevamo qualche altra offerta, ma, al contrario dei Favx, che seppure hanno realizzato solo un EP, hanno fatto altre date, noi avevamo un po’ di paura per il problema della Visa: se suoni più volte, devi pagare di più. Per noi adesso questa cosa non era molto facile da realizzare, per cui abbiamo deciso di suonare solo ad Austin.
E’ stato un modo per lanciarsi.
Sì, infatti. E’ andato tutto bene, quindi speriamo proprio di poterci tornare.
Poco fa dicevamo che provenite tutti da città diverse. Per prima cosa vorrei chiedervi come avete fatto a incontrarvi e a formare la vostra band. Tu sei argentino e gli altri provengono da città diverse, volevo sapere se ognuno ha portato all’interno della band qualcosa della scena musicale della sua città o comunque di quel genere di musica che più segue o che più ama.
La band è stata fondata da Marco, che è il batterista, e da David, che è il cantante e chitarrista. Tutti e due abitavano a Santander, nel nord della Spagna, anche se Marco proviene da un’altra città . Il nostro nome, Baywaves, viene proprio da lì: la baia di Santander è veramente bella. Hanno iniziato a fare delle demo e a metterle online. Questo è successo circa quattro o quattro anni e mezzo fa. Quelle prima canzoni hanno ottenuto un buon riscontro nei blog inglesi. Allora per un gruppo spagnolo era una cosa molto strana, anche se oggi, per fortuna, lo è meno. Hanno avuto delle offerte per andare a suonare a Londra, ma non avevano una band vera e propria e quindi hanno deciso di formarla. Marco abitava già a Madrid e stava studiando giornalismo: conosceva Carlos, il nostro chitarrista, perchè andavano a vedere dei concerti insieme. Io conoscevo Carlos da quando avevamo quattordici anni, sempre perchè andavamo a vedere concerti insieme, ma in realtà Marco mi ha conosciuto su Youtube perchè mi ha visto suonare in un video della mia prima band. Allora mi ha scritto, poi Carlos gli ha detto che mi conosceva e abbiamo iniziato a vederci. In quel momento Marco abitava a Madrid, io anche ““ mi sono trasferito qui nel 2002 insieme ai miei genitori, quindi sono quasi madrileno ““ ma David, il nostro cantante e chitarrista, abitava ancora nel nord della Spagna e scendeva una volta al mese per provare, ma per noi era poco. Quando il primo EP è uscito e abbiamo girato per tutta la Spagna, abbiamo detto a David di venire ad abitare a Madrid, perchè altrimententi non saremmo riusciti a far crescere la nostra band. Lui si è trasferito a Madrid un po’ più di un anno e mezzo fa. Per quanto riguarda i nostri background musicali, qua in Spagna ci sono state alcune band interessanti, ma non c’è mai stato un movimento di musica popolare, che sia rock oppure pop, che sia stato veramente grande. Negli anni ’80 c’è stata la “Movida Madrilena”, che era una specie di new wave. Nessun movimento musicale, però, è resistito nel tempo e ha fatto sì che ci fossero dei riferimenti. Quindi tutti noi siamo cresciuti guardando verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra.
Come è successo per un po’ tutti noi che abitiamo nel sud dell’Europa. Gli unici nomi di artisti spagnoli che mi vengono in mente sono Julio Iglesias, che non c’entra nulla con noi (ridiamo), e una band che mi è capitato di ascoltare tanti anni fa, quando ero più giovane, gli Heroes Del Silencio.
Negli anni ’90 c’era questa band ““ che tra l’altro esiste ancora ““ che si chiama Los Planetas, che faevano shoegaze e noise-pop, che faceva cose interessanti. Purtroppo hanno rilasciato i loro due peggiori album, quando la mia generazione aveva 13 o 14 anni, che sarebbe proprio il momento giusto per scoprirli. Tutti più o meno guardavamo all’estero. Io sono argentino e credo che il Brasile e l’Argentina sono i due paesi non anglofoni che hanno la più grande cultura rock al di fuori degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. Io avevo dei riferimenti diversi da quelli degli altri ragazzi, ma non è qualcosa che si puo’ trovare nella musica dei Baywaves.
Come funziona il processo creativo nella vostra band? Lavorate insieme oppure c’è qualcuno in particolare che scrive la musica o i testi? Di solito scrivete prima i testi o la musica?
Ci sono due modi di lavorare: nel prima, che è quello più comune per il primo EP e anche per i singoli usciti lo scorso anno, il nostro cantante David scriveva più o meno tutto e portava le canzoni in sala prove, ma non avevano troppo groove, quindi prendevo io il basso e, insieme alla batteria, facevamo crescere un po’ la canzone, in particolare in senso ritmico. Tutti cercavamo di aggiungere le trame, ma le melodie e le strutture le creava quasi tutte David. Per questa nuova uscita le cose sono andate in maniera diversa: questo nuovo EP è stato figlio del fatto che siamo stati tanto insieme e abbiamo suonato tanto in giro. Per quasi un mese abbiamo passato tutti i giorni sei od otto ore a suonare per vedere quello che poteva uscire. E’ uscito qualcosa di più eterogeneo, di meno pop, ha ancora alcuni spigoli, non è ancora troppo pulita. Non è ancora perfetto, ma è una cosa più comune. Le canzoni nuove che stiamo scrivendo ora sono un mix tra questi due modi: David lavora sul computer, ci passa i progetti, noi ci aggiungiamo le nostre idee, Marco, il nostro batterista, e io le andiamo a suonare e vediamo cosa ne esce, decidiamo se fare delle modifiche, le registriamo di nuovo e le rimettiamo sul computer. E’ quindi un punto d’incontro tra questi due metodi. Per quanto riguarda i testi, finora non avevamo mai avuto una grande preoccupazione al riguardo, li scriveva David e parlava delle sue cose. Per l’ultimo EP ci siamo chiesti di cosa potevamo parlare e abbiamo deciso di scrivere di noi stessi, della nostra vita, che negli ultimi due anni, per circa la metà del tempo, è stata suonare insieme alla band. Abbiamo parlato della nostra esperienza di andare in giro con la band, di essere sempre in giro, della nostalgia. Quindi nella nostra ultima pubblicazione i testi sono più interessanti, ma sono apparsi dopo la musica.
Il vostro nuovo EP, “It’s Been Like”, è stato registrato all’interno di uno studio: è stata la vostra prima volta oppure avevate usato uno studio di registrazione anche per il vostro lavoro precedente?
Anche per il precedente. Il primo EP lo avevamo registrato qui a Madrid in quattro giorni perchè in quel momento non avevamo abbastanza denaro per poter stare di più in studio. In seguito è stato mixato dal chitarrista dei King Gizzard & The Lizard Wizard, Joe Walker. L’abbiamo conosciuto attraverso degli amici. La prima versione dell’EP non ci era piaciuta troppo e abbiamo cercato qualcuno che lo potesse rendere migliore. E’ apparsa questa opportunità , che non ci saremmo mai immaginati. Gli abbiamo scritto e lui ha accettato. Anche i singoli usciti l’anno scorso sono stati registrati in studio, mentre l’EP lo abbiamo registrato nel nord della Spagna sempre in studio. E’ disperso in mezzo al nulla tra le montagne, è un luogo veramente tranquillo e ci sono tantissimi synth, pedali ed effetti, per cui questa volta, che avevamo a disposizione più tempo e denaro, abbiamo deciso di farlo tutto lì, registrarlo, mixarlo e produrlo.
L’anno scorso è uscito questo brano che si chiama “Gliss”, che è stato prodotto da Jarvis Taveniere dei Woods: loro sono una delle mie band preferite e ho intervistato proprio lui lo scorso anno, poco prima che venissero a suonare in Italia. Come è nata la collaborazione con lui, che comunque non è solo un musicista, ma anche un produttore?
I Woods li abbiamo visti dal vivo anche noi un paio di volte. Se non ricordo male gli abbiamo scritto una mail. Avevamo questo pezzo un po’ psichedelico con delle chitarre e ci siamo chiesti chi poteva mixarlo. Gli abbiamo scritto via mail e gli abbiamo spiegato le nostre esigenze, che lui, essendo in una band, ha capito e il risultato è stato eccellente.
Tornando al nuovo EP, ti posso chiedere quali sono state le vostre principali influenze a livello musicale?
Come band direi gli Avalanches, soprattutto il loro ultimo disco, poi anche gli Stereolab sono stati un’influenza, pur non troppo evidente nella musica, ma sicuramente nel concepimento delle canzoni. Inoltre due compilation, “Too Slow To Disco”, che comprende brani degli anni ’70 e ’80 tipo Steely Dan, ma più dancey con dei bellissimi arrangiamenti, ma con delle batterie e delle chitarre funky, e “Psichemagik”. Poi un’altra che si chiama “Sunrise”, che contiene canzoni baleari tipo folk, ma anche con synth anni ’70, sono canzoni soft, ma ballabili e molto interessanti per la loro produzione.
Parliamo di Madrid. Come mi stavi raccontando all’inizio della nostra conversazione, ora non è più una cosa strana che la band spagnola vada a suonare fuori, in Inghilterra come negli Stati Uniti. E’ nata una bella scena, dobbiamo ringraziare Diego dei Parrots, dobbiamo ringraziare Carlotta e Ana delle Hinds, dobbiamo ringraziare anche voi Baywaves. Ci sono parecchie band interessanti in Spagna e sono sicuro di conoscerne ancora molto poche, ma ce ne saranno molte di più. Cosa significa tutto ciò per voi che avete dato una mano a espanderla anche fuori dai confini, anzi forse anche di più fuori dai confini spagnoli che all’interno.
Tutte le band che hai citato cantano in inglese. Le Hinds hanno fatto una cosa importantissima nel senso di farci capire, con il loro esempio, che è possibile farcela fuori dalla Spagna. Mi piace definirla come una rivoluzione politica, nel senso che prima non concepivamo di suonare fuori dalla Spagna. Era una cosa inconcepibile, non perchè non fosse possibile, ma perchè non era mai apparsa nella nostra testa. C’è stato qualcuno, in questo caso le Hinds, che ha capito che si puo’ fare e che puo’ anche funzionare bene. Prima c’era una scena più grande, perchè quando queste band erano più piccole suonavano più spesso qui a Madrid. Adesso c’è una nuova sensazione che è stata raccolta anche da altri gruppi più giovani ““ ti consiglio Marem Ladson, che ha appena pubblicato il suo disco da quindici giorni o un mese, i Favx di cui ti parlavo prima, gli Alien Tango (che abitano metà in Spagna e metà a Londra), The Zephyr Bones di Barcelona, i Mourn. E’ una questione generazionale. Insieme ce la possiamo fare. Ora è quasi più economico prendere un aereo per Londra che un bus per Barcelona. Se canti in inglese qui in Spagna hai un limite, quindi, se vuoi fare il musicista, devi tentare di suonare in più posti possibili, siano questi Inghilterra e Stati Uniti, ma anche Francia, Germania o Italia. Noi non abbiamo mai suonato in Italia, ma ho veramente tantissima voglia di venire a suonare lì da voi.
Volevo proprio chiederti se avete intenzione di venire a suonare qui in Italia.
Io sicuramente verrò in Italia quest’estate. Volevo andare a vedere Calcutta a Verona, ma i biglietti sono appena finiti e sto valutando se andare a vederlo a Latina. I Parrots hanno già suonato un paio di volte in Italia. Abbiamo alcuni contatti, ma non ha molto senso fare solo due concerti, vorremmo fare una cosa più strutturata. Mi piace la musica italiana. Quando ero piccolo i miei genitori ascoltavano moltissimo gli 883 e Jovanotti. Poi nulla fino a due o tre anni fa: mi piace molto il primo album de I Cani, ho scoperto Calcutta, un paio di cose di Motta. Proprio in questi giorni ho iniziato ad ascoltare i CCCP e mi piacciono moltissimo.
Tornando al vostro EP, c’è un significato particolare dietro al titolo “It’s Been Like”? A che cosa si riferisce?
Come ti dicevo prima, quando ci siamo messi a pensare di cosa avremmo voluto parlare o di ciò che l’album significava, abbiamo capito che tutto quel tempo speso insieme negli ultimi anni ci aveva portato a fare quel disco nel senso di come è, di che cosa parla, ecc. Non avevamo ancora un nome e dovevamo sceglierlo subito perchè il giorno dopo l’avremmo dovuto mandare in stampa e allora ho detto: “Questo album è stato quello che è stato”. Era “It’s Been Like This”, ma poi abbiamo deciso di abbreviarlo togliendo il “this”. E’ interessante anche a livello sonico. Parla veramente di quello che è stato o come quello che è successo ci ha fatto cambiare fino a ora.
Avete programmi per l’estate? Andrete in giro a suonare in qualche festival?
Non troppi. Abbiamo un paio di date, ma soprattutto stiamo lavorando sul nostro primo album. Prima non eravamo troppo convinti che fosse utile in senso commerciale. Preferivamo pubblicare dei singoli per attrarre più pubblico. Dopo questo EP abbiamo capito di essere arrivati a un punto in cui sappiamo sfruttare quello che sappiamo fare per produrre quello che dobbiamo fare. Siamo tutti in un punto della vita dove stiamo cominciando a lavorare sul serio o a prendere delle decisioni. Io sono architetto e sto finendo di studiare, il nostro cantante sta facendo un master in ingegneria. Ci siamo accorti di essere pronti sia come musicisti che nelle nostre vite, quindi abbiamo deciso di fare un album e vedere come andranno le cose. Abbiamo quattro date in estate e qualche altra interessante dopo l’estate tra cui una a Londra insieme agli Her’s. Poi avremo ancora un paio di concerti in Inghilterra e dieci o quindici concerti qui in Spagna tra settembre e gennaio.
Ho visto che il vostro EP è uscito in vinile. E’ un formato che vi piace? E’ una cosa fisica, che si toccare, si puo’ tenere in mano e magari anche annusare.
Noi siamo cresciuti soprattutto con il download digitale e con lo streaming. In questo ultimo EP puoi notare una certa varietà di stile tra una canzone e l’altra dovuta al fatto che noi ascoltiamo più playlist che album al giorno d’oggi. Personalmente sono collezionista di cd e, quando siamo in giro, vado sempre a cercare negozi di cd usati, che sono molto più economici dei vinili e il formato mi piace molto. Carlos, il nostro chitarrista, è quello che ha più vinili. Quando andiamo a vedere una band che ci piace, vogliamo comprare del merchandising e credo che la cosa più interessante sia il vinile e crediamo che anche la gente che ci viene a vedere la pensi nello stesso modo. Non necessariamente come un supporto audio, visto che oggi diventa molto più facile andare ad ascoltare la musica su Spotify, ma per avere un oggetto fatto con cura e bello. Abbiamo avuto la fortuna di lavorare con un’etichetta inglese (Hard Is Art), che ci ha proposto di stampare un vinile. La copertina l’ha disegnata un artista dei Paesi Baschi (Eenyakee) e il vinile è bianco trasparente. E’ davvero molto bello.
Un’ultima domanda: per favore puoi scegliere una delle vostre canzoni da usare come colonna sonora di questa intervista?
La mia preferità dell’ultimo EP è “1954 Egyptian Drama”. Se posso dirne anche un’altra, aggiungerei “Still In Bed”, di cui puoi trovare anche il video, registrato da un nostro amico veramente molto bravo.
Benissimo. Ti ringrazio tantissimo Fran.
Grazie a te. A presto.