“Deserter’s Songs” avrebbe potuto essere l’ultimo album dei Mercury Rev. Stanchi e delusi dallo scarso successo del precedente “See You On The Other Side”, senza un manager nè una casa discografica dopo essere stati scaricati dalla Beggars Banquet e senza un batterista dopo l’addio di Jimy Chambers, i Mercury Rev avevano deciso di fare un album fregandosene altamente del mercato, delle classifiche, delle strategie di vendita e poi sciogliersi (magari continuando a esibirsi col nome di Harmony Rockets sotto il quale si erano nascosti per pubblicare “Paralyzed Mind of the Archangel Void”). Invece “Deserter’s Songs” è diventato il loro album più popolare.

Uno dei dischi più significativi degli anni novanta, registrato nel buen retiro delle Catskill Mountains in contemporanea con “The Soft Bulletin” dei The Flaming Lips. L’album della definitiva trasformazione dei Mercury Rev da rock band psichedelica feroce e gloriosamente rumorosa che furoreggiava in “Yerself Is Steam” e “Boces” a gruppo capace di creare quel suono dolce, avvolgente, orchestrale poi perfezionato con la teatralità  di “All Is Dream” qualche anno dopo. L’avvicendamento, doloroso ma inevitabile, tra David Baker e Jonathan Donahue avvenuto in “See You on the Other Side” è stato ormai metabolizzato. Merito dei Mercury Rev e di Dave Fridmann nella doppia veste di musicista e produttore, capace di amalgamare le tante anime di una band in trasformazione continua.

Questo è l’album in cui lo storico quartetto Rev diventa un collettivo che si apre a influenze che vanno oltre il rock per arrivare alla musica classica, alla lirica, al jazz, alla sperimentazione più pura (la sega suonata da Joel Eckhouse e lo strumento inventato dal chitarrista Sean “Grasshopper” Mackowiak chiamato Tettix Wave Accumulator che le orecchie più attente avranno notato nella ghost track alla fine di “Delta Sum Bottleneck Stomp”). Ma “Deserter’s Songs” è e resta rock nell’anima, con Levon Helm batterista in “Opus 40” e Garth Hudson al sassofono in “Hudson Line” (e di gruppi che possono permettersi il lusso di arruolare due membri della Band non ce ne sono molti).

Tre quarti d’ora di musica agrodolce, fiabesca, sognante ma con un lato oscuro. Attimi fondamentali per l’evoluzione dei Mercury Rev (nel 2011 tra l’altro è uscita una versione solo strumentale chiamata “Deserter’s Songs (Instrumentals)”che nulla ha da invidiare all’originale). La colonna sonora di un’amicizia ritrovata (quella tra Donahue e Grasshopper) nata grazie a un disco di filastrocche per bambini (“Tale Spinners For Children”) che Jon Donahue ascoltava da piccolo e che era tornato a scoprire per provare ad uscire da un periodo di profonda depressione e abuso di droghe.

Se i Mercury Rev avessero deciso di dire basta senza provarci ancora una volta, se le armonie di “Endlessly” e “Goddess On A Hiway” non fossero mai esistite, molto del dream pop d’inizio millennio avrebbe avuto un suono e un gusto diverso. “Deserter’s Songs” ha vent’anni ma in realtà  è senza tempo. Ha fatto capire a questi ragazzi di Buffalo (New York) che l’oscurità  non è sempre vuota, ma un terreno fertile ricco di idee e di musica.
Doveva essere un addio, invece è stata un’inaspettata rinascita.

Data di pubblicazione: 29 settembre 1998
Registrato: Tarbox Studios, NRS Studios, Six Hours Studios
Tracce: 12
Lunghezza: 44:35
Etichetta: V2
Produttori: Dave Fridmann, Jonathan Donahue

Tracklist
1. Holes
2. Tonite It Shows
3. Endlessly
4. I Collect Coins
5. Opus 40
6. Hudson Line
7. The Happy End (The Drunk Room)
8. Goddess On A Hiway
9. The Funny Bird
10. Pick Up If You’re There
11. Delta Sum Bottleneck Stomp
12. Track 12