Prince, pur essendo sempre stato un formidabile polistrumentista in grado di registrarsi in totale autonomia interi album (tra i quali l’omonimo del 1979 e “Dirty Mind” del 1980, non proprio due episodi minori), non ha mai nascosto un feeling tutto particolare con la chitarra elettrica. Che si trattasse della mitica Yellow Cloud, della vistosissima Symbol Guitar o di una decisamente più sobria Fender Stratocaster, per questo degno allievo di giganti quali Jimi Hendrix e Carlos Santana ogni occasione era buona per ricordarci il suo incredibile talento alla sei corde. Se qualcuno dovesse mai dirvi che il solo di “Purple Rain” al Super Bowl del 2007 o quello di “While My Guitar Gently Weeps” alla cerimonia della Rock and Roll Hall of Fame del 2004 sono indimenticabili pezzetti di storia della musica, state certi che non vi sta raccontando sciocchezze prive di fondamento (e se non gli credete andate pure a recuperare i video su YouTube).
Questa passione bruciante per la chitarra (cui il nostro nel 2007 dedicò persino una canzone, intitolata per l’appunto “Guitar”) in qualche modo ha costantemente messo in ombra quella non meno rovente per il pianoforte, il primo strumento attraverso cui il piccolo Prince si avvicinò al mondo delle sette note. Lui tuttavia non ha mai dimenticato davvero le sue origini e, nel corso di una carriera durata quasi quarant’anni, più volte ha trovato il tempo per tornare a sedersi tutto solo davanti all’adorata tastiera in avorio.
In qualche occasione lo ha fatto per i fan (l’ultima volta al Fox Theater di Atlanta il 14 aprile 2016, esattamente una settimana prima della morte per un’overdose di fentanyl); più frequenti però i casi in cui ha preferito farlo nell’intimità di uno studio di registrazione, magari con un tecnico in cabina di regia pronto a mettere tutto su nastro. E proprio da un malridotto nastro custodito per decenni nei leggendari archivi della sua mastodontica reggia a Chanhassen arrivano i nove diamanti grezzi inclusi in questo “Piano & A Microphone 1983”.
La prima di quella che si preannuncia essere una sterminata sfilza di uscite postume (probabilmente nessuno di noi sarà ancora vivo quando i pozzi di Paisley Park si esauriranno, e non è uno scherzo) è innanzitutto una preziosissima testimonianza della creatività dell’artista di Minneapolis in uno dei suoi periodi di massimo splendore, ovvero quello a cavallo tra “1999” e “Purple Rain”. Il Prince Rogers Nelson di “Piano & A Microphone 1983” è un venticinquenne di belle speranze che, per ripararsi dalla gelida primavera del Minnesota, si rinchiude nel suo Kiowa Trail Home Studio sulle sponde del lago Riley per mettere nero su bianco qualche idea per il futuro.
Tra work in progress di brani più o meno pronti alla pubblicazione (una strofa e un ritornello di “Purple Rain” e “17 Days”, B-side della hit “When Doves Cry”) o lasciati in ripostiglio ancora per un po’ (“Strange Relationship” sarebbe apparsa quattro anni più tardi sul doppio “Sign O’ The Times”), emergono una splendida rilettura in chiave jazz/beatbox di “International Lover” (da “1999” del 1982) e una brevissima ma assolutamente memorabile cover di “A Case Of You”, un classico di Joni Mitchell.
Due decenni più tardi Prince ne avrebbe realizzato una versione più lunga ma molto meno riuscita contenuta in “One Nite Alone…”, l’unica opera da lui prodotta in vita che può prestarsi a qualche paragone con “Piano & A Microphone 1983”. Non che i due dischi siano sullo stesso livello, attenzione: in “One Night Alone”…” c’è una vecchia pop star confusa che si cimenta in un repertorio da piano bar; in “Piano & A Microphone 1983”, al contrario, c’è un giovane artista emergente che tira su col naso in continuazione e trasforma in oro tutto ciò che sfiora, a partire da quei quattro inediti (“Wednesday”, “Cold Coffee & Cocaine”, “Why The Butterflies” e lo spiritual tradizionale “Mary Don’t You Weep”, recentemente incluso dall’amico Spike Lee nella colonna sonora di “BlacKkKlansman”) all’epoca inspiegabilmente accantonati.
Un microfono, un pianoforte e una sensibilità unica: al Prince dei tempi migliori bastava davvero poco per dar vita a qualcosa di straordinario e imperdibile.
penner [CC BY-SA 3.0], via Wikimedia Commons