Il primo album dei Tindersticks è quanto di più bello sia uscito nel 1993. Ne ero convinto all’epoca, quando sicuramente non avevo ascoltato (complice giovane età  e soldi, pochi) così tante uscite di quell’anno, ma ne sono convinto ancora adesso, che ho avuto la fortuna di recuperare molti album datati 1993. Album bellissimi, meravigliosi e che tutt’ora ascolto ancora con piacere, ma la magia che si trova qui dentro, in queste 21 perle, beh, non aveva eguali.

Tutto gira intorno a Stuart Staples, ispirato all’ennesima potenza, ma anche consapevole di creare qualcosa di assolutamente personale e profondamente legato alla sua personalità  tormentata e alle sue drammatiche vicissitudini, eppure non per questo criptico e incomprensibile, anzi, tutt’altro. L’empatia che si crea con l’ascoltatore, seppure di fronte a situazioni e a testi davvero sconfortanti e struggenti, è immediata e indissolubile. Fin dalla magia di quella copertina così bella e affascinante.

I Tindersticks nella loro carriera forse sono sembrati (sembrare non vuol dire essere!) quella band che ama starsene in cima alla montagna più alta, inaccessibili, troppo impegnati e intellettuali per essere seguiti con costanza. Eppure in questo esordio, anche un diciottenne come ero io all’epoca, ammaliato da canzoni decisamente più pop, trovava in quest’opera un lirismo e un fascino indescrivibile e accattivante, irresistibile oserei dire. E non potrebbe essere altrimenti, perchè quel dannato e angoscioso romanticismo, quella voce da crooner, quell’impianto sonoro così corposo eppure mai eccessivo, sanno entrare nella testa come un tarlo, nelle vene come un veleno, nell’anima come un peccato che ti divora e, ovviamente anche nel cuore. Il nostro organo principale segue, ipnotizzato, i battuti scanditi dal cuore di Stuart, tanto lenti, flebili e compassati a tratti, ma, in altri frangenti, anche accelerati, nervosì, ansiogeni, pulsanti. Perchè in quel cuore albergano si le lezioni di maestri come Waits, Cohen, Cave, ma anche un gusto melodico immediato che si abbevera ad arrangiamenti nobilissimi in odore di chamber-pop.

Qui è il punto. Staples eleva la sua arte ad essere sicuramente complessa e rigogliosa, ma non perde mai di vista la sensibilità  della melodia, quella semplice, che sa arrivare subito, e questo è talento, signori e signore, null’altro che talento.

21 brani sono tanti, 77 minuti possono essere una vera e propria eternità  in un disco, sopratutto se risulta farraginoso. Non è il nostro caso. Il minutaggio non spaventi, anzi, sorprenda, perchè lo scorrere del disco entusiasma e non crea pesantezza: è come attraversare un mondo personale, poeticamente e cinematograficamente variegato, tanto sobrio, rigoglioso e intenso quanto fragile, desolato e disperato: luci e rumori che si accendono, si spengono, si confondono e si distorcono, mentre le gentilezze di “Nectar”, “Blood” e “Patchwork” vengono turbate dai violini commoventi di “City Sickness”, così come dal nervosismo ritmico di “Milky Teeth” o dalla cupezza invasiva e distorta di “Tyed”, per non parlare della spartana “Drunk Tank” che sa essere quasi sconvolgente, con quei tasti pigiati con forza e quel violino che diventa suono penetrante. Il finale elegiaco ed orchestrale di “The Not Knowing” è la magistrale chiusura di uno stretto e fitto dialogo tra noi e Stuart, in cui l’artista è stato capace di trasmetterci ogni goccia del suo sudore e ogni emozione da lui percepita.

Arte, si questa è davvero arte. E i Tindersticks iniziavano così una carriera. Da restare senza fiato.

Pubblicazione: 11 ottobre 1993
Brani: 21
Lunghezza: 77:02
Etichetta: This Way Up
Produttore: Tindersticks e Ian Caple

Tracklist:
1. Nectar
2. Tyed
3. Sweet Sweet Man Pt. One
4. Whiskey & Water
5. Blood
6. City Sickness
7. Patchwork
8. Marbles
9. The Walt Blues
10. Milky Teeth
11. Sweet Sweet Man Pt. Two
12. Jism
13. Piano Song
14. Tie-Dye
15. Raindrops
16. Sweet Sweet Man Pt. Three
17. Her
18. Tea Stain
19. Drunk Tank
20. Paco De Renaldos Dream
21. The Not Knowing