Calma e sangue freddo.
Una band di ragazzi giovanissimi dal sound anni 70′, qualcosa si di esplosivo ma che che obiettivamente ricorda fortemente i Led Zeppelin , i Greta Van Fleet sono quattro giovani dal Michigan, nello specifico tre fratelli talentuosi (di cui due gemelli) e un amico. Una band che sicuramente sa come suonare, ma che ha sempre dato l’impressione (già dal primo EP “From The Fires”) di avere qualche problema di identità .
Quello che non si capisce bene infatti è se i ragazzi siano la naturale copia di Plant e soci, o solamente se stanno provando ad esserlo. Perchè diciamoci la verità le loro sonorità sono un po’ spiazzanti, la somiglianza è tale da aver messo i 4 statunitensi al centro di un dibattito acceso nei vari social e di nuovo, con questo album “Anthem of The Peaceful Army”, fanno ulteriormente parlare di se.
Alcuni li hanno definiti emulatori, altri coraggiosi nell’osare appoggiandosi ad una solida base già esistente dalla quale partire (coraggiosi non è proprio il termine esatto allora), e a me, personalmente, non hanno veramente entusiasmato.
Se la prima canzone “Age of Man” mi aveva fatto ben sperare grazie alla sua melodia malinconica e al cantato pulito dalle mille sfumature, le successive mi hanno fatto perdere la pazienza un paio di volte. Alcune idee del disco sono piacevoli, altre veramente banali, solita minestra riscaldata al limite dello sconforto. Il disco suona tutto uguale, tranne qualche piccola parentesi in chiave semi-acustica come nella felice e quasi bluseggiante “The New Day” che però non fa decollare il disco.
Avevo sperato veramente che “From the Fires” fosse una piccola parentesi, una comoda rampa di lancio che usata per attirare un po’ di attenzione sarebbe poi stata abbandonata verso un nuovo inizio, l’avrei concesso perchè la loro bravura è veramente lampante. E invece di coraggio qui ce n’è veramente poco nel rischiare a proporre qualcosa di proprio, al massimo ce n’è molto invece nel voler imitare una delle rock band più famose di sempre, partendo dai suoni, a volte identici, e finendo al songwriting a volte spiazzante e quasi identico nelle metriche a quello degli originali.
Sarà che ormai nel Classic Rock secondo me si è già detto parecchio, sarà che la somiglianza è veramente estrema questa volta, sarà che vedere 4 ragazzi vestiti da hippies nel 2018 mi fa una tristezza immonda, sarà che se voglio ascoltarmi i Led Zeppelin mi ascolto i Led Zeppelin e non chi ci somiglia, non lo so, so solo che questi ragazzi sono veramente bravi e capaci a suonare, ed è un peccato che vengano riconosciuti solo grazie alla loro somiglianza a Tizio, Caio e Sempronio. Ma forse per i nostalgici di turno va bene così, va talmente bene che forse è proprio questo il segreto del successo di questi ragazzi che da semplice cover band si ritrovano a dover affrontare un tour mondiale da 54 date.
Ragazzi, qui, veramente, si sta rischiando di voler costruire (o meglio, spacciare) qualcosa di nuovo quando, di nuovo, non c’è veramente niente, a meno che per voi novità non sia il fatto che una band agli esordi cerchi di imitarne un’altra più famosa. è il giusto compromesso per far ritornare il rock nel mainstream? A questo punto lo preferisco tutta la vita nell’underground.
Photo: Foto: Stefan Brending