Dopo aver intervistato pochi minuti fa la gentilissima Lucy Dacus nella terrazza esterna del bar al secondo piano dello Yes, nuovissima venue di Manchester, inaugurata solo da poche settimane, ci trasferiamo nella Pink Room, stasera decisamente piena, anche se non sold-out, per assistere al suo attesissimo concerto, uno degli ultimi del suo lungo tour del Regno Unito.
Il suo secondo album, “Historian”, è uscito lo scorso marzo per la prestigiosa Matador Records e, come già il suo predecessore, “No Burden”, ha trovato ottimi riscontri da parte di critica e pubblico, lasciando parecchi stupiti per la sua maturità , nonostante l’età ancora giovanissima (appena 23 anni).
La prova del live, quindi, ci interessa particolarmente per capire se tutto il bene che è stato scritto e detto su di lei possa essere confermato anche in questa versione.
Sono passate da pochi minuti le nove, quando Lucy sale sul palco del locale mancuniano: per il primo brano, l’inedito “Fools Gold”, la musicista statunitense resta da sola con la sua chitarra, cercando di iniziare la serata con un’atmosfera tranquilla e riflessiva.
Arriva la band poco dopo e la songwriter indie-rock di Richmond, Virginia si gioca subito una carta pesante, il singolo “Addictions”, uno dei migliori pezzi estratti dal suo sophomore: se la voce rimane sempre calma e dolce, la costruzione della canzone sembra essere perfetta, con una crescita graduale che arriva a toccare l’apice nel coro con le rumorose chitarre supportate dalla veloce sezione ritmica. Se è vero che mancano, forse in maniera scontata, i fiati presenti sul disco, le sensazioni melodiche, invece, rimangono ottime.
Le sei corde sono più leggere nella successiva “The Shell”, in cui i vocals, ricchi di passione, sanno ben descrivere i sentimenti, mentre “Green Eyes, Red Face”, uno dei pochi estratti dal suo debutto “No Burden” stasera, ci trasporta su territori di Americana e folk: anche il drumming delicato sembra aver capito l’intimità dello canzone.
“Timefighter” si apre con un bel basso, mentre la batteria sembra più secca e decisa: la voce di Lucy è gentile e lo spirito della canzone sembra essere soft, sino a quando distorte e rumorose chitarre la rendono molto più rock rispetto alla sua parte iniziale.
Incredibilmente eccitante “Pillar Of Truth”, che passa più volte da una grande intimità ad attimi decisamente elettrici quasi punk, che difficilmente ci saremmo aspettati: la combinazione è assolutamente vincente e centra i cuori dei numerosi presenti.
E se vogliamo parlare di cuore allora ecco “Night Shift”, che chiude il main-set: non c’è nessun bisogno di accelerare, basta lasciarsi andare e, quando tutto il pubblico la canta insieme alla Dacus, quasi come fosse un piccolo inno, si capisce perfettamente che, ancora una volta, le emozioni hanno vinto. E’ una poesia, dolce e romantica, quasi commovente e fa trovare molti consensi alla ragazza della Virginia.
Tempo ancora per un paio di encore e per scambiare un paio di chiacchiere con il tour manager al banchetto del merch e poi di nuovo via nella fredda notte mancuniana verso l’aeroporto che domattina presto si torna in Italia: i ricordi di questo brevissimo weekend in terra d’Albione, però, non si cancelleranno facilmente perchè il concerto di Lucy Dacus è stato uno di quelli che sanno colpire duro, sia per la bravura della musicista statunitense sia, e diremmo anche soprattutto, per la bellezza dei sentimenti, semplici, ma incredibilmente intensi e sinceri, che ha saputo descrivere attraverso le sue ottime canzoni.