à“lafur Arnalds si è esibito in concerto al Thèà¢tre Fèmina di Bordeaux la sera del 22 ottobre. Una tappa insolita per il tour europeo dell’artista che ammette di non essere mai stato a Bordeaux, ma di aver tanto sentito parlare del suo vino. Lo show di Arnalds comincia così, un paio di timide battute d’apertura, un primo pezzo suonato quasi totalmente al buio e l’ingresso in punta di piedi dei cinque musicisti che l’accompagnano sul palco.
Per il brano successivo il compositore annuncia di voler fare un piccolo esperimento ed invita il pubblico ad intonare una nota che in seguito registra e campiona grazie all’ausilio dei microfoni piazzati strategicamente sul palco. Il risultato è una splendida versione di “re:member”. Immediatamente Arnalds riesce a trasportare la platea nel suo mondo interiore, ad abbracciarla e a metterla a proprio agio. Non a caso, sia lui che la metà dei musicisti presenti sulla scena portano ai piedi solo dei calzini. L’artista islandese si siede in giro per il palco con nonchalance, come farebbe sul divano di casa, e così facendo immerge tutta la platea in un clima familiare e caloroso, perfettamente hygge.
Il concerto prosegue tra virate dai toni mistici con “Ypsilon” e strascichi elettronici altamente evocativi con “brot”. Vedendo suonare Arnalds dal vivo diventa sempre più evidente quanto la sua musica non sia nè completamente classica, nè completamente elettronica. è uno stile, il suo, che si situa in una dimensione unica e personale, profondamente intima, difficilmente confinabile in una semplice categoria. Forse l’unico modo di capire la portata del genio del compositore è proprio quello di assistere ad un suo concerto, abbandonandosi completamente alla bellezza di una musica delicata, genuina e profondamente umana.
A questo punto dello spettacolo Arnalds mette in pausa la melodia in favore del racconto.
à‰ la volta del primo dei numerosi aneddoti narrati dal musicista durante lo show.
Il compositore svela la storia della creazione dei due “pianoforti fantasma” presenti sullo sfondo della scena. Due giganti di legno che non passano inosservati, ed i cui tasti si muovono in totale autonomia e sincronia, senza bisogno dell’ausilio di dita umane: Probabilmente vi starete chiedendo da un po’ come fanno i tasti dei pianoforti alle mie spalle a muoversi da soli! Diciamo che un giorno mi sono reso conto di non poter suonare più di due pianoforti alla volta, quindi ho passato due anni a cercare il modo di riuscire a suonarne almeno quattro contemporaneamente. E ci sono riuscito, grazie all’aiuto della tecnologia. In realtà posso suonare solo un paio di note su entrambi i piani…questo è quanto…forse avrei potuto fare un uso migliore del mio tempo dice ridendo.
Poi è la volta di “3326” un brano particolarmente intenso durante il quale Arnalds si eclissa quasi totalmente e lascia il palco ad un denso e vertiginoso assolo di violino. Con “3326” lo spettacolo raggiunge il limite della performance creativa. I giochi di luce ed ombra proiettano sulle pareti del teatro la gigantesca silohouette del violinista, completamente sprofondata in quella che si potrebbe facilmente definire come una trance musicale. Un momento sospeso, che racchiude in sè un multisfaccettato universo interiore e tutto il tempo di una vita umana. Le corde del violino smettono di vibrare e la platea si sforza di tornare alla realtà solo per prodursi in uno slancio di applausi.
Arnalds attende paziente, seduto a gambe incrociate sulla panca al centro del palco. Dopo un po’ prende in mano il microfono e racconta al pubblico un aneddoto che è quasi una storia incantata: Il pezzo che suonerò a breve è stato scritto durante un viaggio fatto anni fa in alcune piccole isole del Nord-Europa. Era l’ultimo l’ultimo giorno dell’anno ed avevo appena scoperto che durante questa giornata la gente del luogo aveva deciso volontariamente di vivere senza elettricità o connessione internet. Quando ho chiesto agli abitanti dell’isola perchè facessero una cosa del genere ho ottenuto una risposta tanto chiara quanto onesta: per dare almeno un giorno di break a madre terra. Ho trovato questa motivazione molto toccante e visto che quella sera stessa ho fallito totalmente a cucinare qualcosa sul fuoco che avevamo improvvisato in giardino, ho delgato la cena ai miei compagni di viaggio e sono andato a fare qualcosa che sapevo fare: comporre. La prossima canzone è “Nyepi”, che significa il giorno del silenzio.
Appena Arnalds accenna le prime note è chiaro a tutti che quella canzone non è nient’altro che un inno alla bellezza ed alla fragilità di tutte le cose. Le sue dita si muovono lentamente sul pianoforte ed à incredibile come da quella lentezza estremamente fluida e ponderata scaturisca un fervore quasi epico. Attraverso la sua musica l’islandese riesce a far sperimentare al pubblico una storia che non ha mai vissuto. Ogni nota racconta lo spegnimento di milioni di luci.
“Nyepi” segna la fine del concerto, Arnalds presenta gli altri musicisti e ringrazia il teatro. Gli applausi durano a lungo, il pubblico comincia a sbattere i piedi per terra reclamando un encore che possa far durare ancora un po’ quell’incantamento sospeso nel tempo.
à“lafur Arnalds torna sul palco e ringrazia la platea annunciando un’ultima canzone, “Lag Fyrir à–mmu”, dedicata a sua nonna. Si rivolge al pubblico in maniera molto naturale dicendo: Vedete, quando ero un adolescente, come tutti gli adolescenti, non avevo molta voglia di andare a trovare mia nonna, ma lei aveva trovato uno stratagemma per vedermi almeno una volta alla settimana. La sua chiamata arrivava puntuale una, talvolta due volte alla settimana. Ogni volta mi annunciava telefonicamente che la sua radio si era rotta e reclamava il mio aiuto. Così mi avviavo a casa sua controvoglia, indossando la mia maglietta degli Slayers, protestando tra me e me. Oggi mi dico che doveva avere un metodo segreto infallibile per sabotare la sua radio perchè, effettivamente, ogni volta che mi recavo da lei per ripararla era innegabilmente rotta. Una volta terminato il mio lavoro mi costringeva a restare lì con lei almeno una, due ore ad ascoltare Chopin. Se non fosse stato per lei e per quella radio molto probabilmente non sarei mai diventato un compositore.
“Lag Fyrir à–mmu” è una melodia piena d’amore e gentilezza che vede il solo Arnalds sul palco e la presenza acustica dei violini, nascosti, suonati dietro le quinte, come una magia proveniente da un’altra dimensione fatta di ricordi e di gesti gelosamente custoditi. Un finale perfetto.