Non c’è da stupirsi se la data di Kurt Vile & The Violators del 28 ottobre alla Rock School Barbey a Bordeaux è andata sold out in poco tempo. Un pilastro del rock moderno come Vile, che porta in tour il nuovo album “Bottle It In”, fa sicuramente gola.
Accompagnato dai fedelissimi Violators, Vile apre il concerto con “Loading Zones”.
Con occhiaie infinite e, probabilmente, un paio di birre di troppo in corpo, il musicista suona e canta il pezzo d’apertura tutto d’un fiato. Preciso, veloce, quasi in preda all’automatismo.
Jesse Trbovich, Rob Laakso e Kyle Spence lo seguono, leali, lungo quella spedita spirale elettrica. Improvvisamente l’atmosfera cambia, virando rapidamente in una bolla melodica completamente diversa. “Jesus Fever” viene salutata con entusiasmo compatto da un pubblico visibilmente nostalgico dei tempi di “Smoke Ring For My Halo”.
Sul palco Vile sfoggia quell’aria da ragazzino outsider che, nonostante la sua non più giovanissima età , gli calza come un guanto. Eternamente bloccato nella sua fase grunge, fedelissimo alle vans ed alla classica camicia a quadrettoni strappata sui gomiti, il musicista mette in mostra una t-shirt dei Ramones ed una chioma sempre più selvaggia.
à‰ solo in controluce che, se si osserva con attenzione, si possono vedere i capelli bianchi di Vile. Non si direbbe vista la sua attitudine costantemente cool e stralunata, ma anche gli eterni ragazzini grunge invecchiano.
La lunghissima “Bassackwards”, tratta dall’ultimo album, viene accolta come si accolgono le belle novità : con spontanea effervescenza. L’intera sala inizia a canticchiare il brano con leggerezza, noncurante della durata di quasi dieci minuti. à‰ a partire da questo momento che Vile ritorna sul pianeta Terra, forse seguendo proprio la rotta suggeritagli dalle parole stesse di “Bassackwards”.
Seguono “Hysteria”, “Cold Wind Blows” e “Goldtone”. A questo punto lo show ha già visto svariati cambi di chitarre per Vile, il quale riesce ad assicurare una fluidità ed una coerenza totali nel costante passaggio dall’elettrico all’acustico. Anche l’interazione con gli altri musicisti presenti sul palco va ad aumentare man mano, così come la volontà dell’artista di comunicare col pubblico.
Una nota di merito è da attribuire di sicuro all’assolo acustico eseguito da Vile: una versione estremamente intima ed elegante di “Runner Ups”. Un capolavoro rock assoluto, da spezzare il cuore.
I Violators tornano sulla scena e a partire da “Yeah Bones” la carica elettrica ed il fervore raddoppiano, così come gli “woo” e “woos”, strilli emessi da Vile, vero e proprio marchio di fabbrica dei suoi live. Come in un vortice inarrestabile si susseguono”Wakin’ On a Pretty Day”, “KV Crimes” e “Check Baby”. I riffs magici ed euforici di Vile e compagni danno fuoco alla Rock School Barbey.
Una bellissima e densa “Skinny Mini” ed una straziante “Wild Imagination” segnano la fine del concerto. Vile ringrazia il pubblico e si avvia dietro le quinte con i Violators.
I musicisti sono a malapena spariti dalla scena che già la platea implora un encore. Vile e compagni non si fanno attendere a lungo e tornano sul palco con passo tranquillo. Il cantante cammina curvo, imbraccia la chitarra e si ravvia i capelli che gli ricadono inesorabilmente sul viso.
“Pretty Pimpin” è il primo brano eseguito da Kurt Vile & The Violators una volta tornati sul palco. Il pubblico conosce le parole a memoria e segue il monologo del cantante che si racconta in maniera confusionaria mentre la band oscilla tra suoni dolci ed accordi oscuramente amari. Per chiudere il concerto in bellezza Vile sceglie di eseguire una cover : “Downbown Train”. Pietra miliare del rock made in USA, il brano del “Boss” Bruce Springsteen viene reinterpretato a dovere da Vile e compagni che spingono gli strumenti al limite per dilatare al massimo l’esperienza musicale.
Kurt Vile trascina la sua chitarra fino all’amplificatore. Lo show finisce con un suono sporco e distorto, che alle orecchie del pubblico suona, però, come un ultimo fuoco d’artificio.
Credit Foto: Julio Enriquez from Denver,CO, USA, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons