Da Chicago ecco Jane Zabeth Nicholson alla voce, Neil Yodnane e Zeeshan Abbasi alle chitarre, Cory Osborne al basso e John Rungger alla batteria; Lorsignori, a Voi i Lightfoils.
Formatisi nel 2010 e con alle spalle già un EP (omonimo, del 2012) e un album (“Hierarchy” del 2014) che avevano già mostrato un’indubbia capacità nel creare shoegaze nella sua accezione più dreamy e dal tiro pop, il gruppo dell’Illinois è chiamato ad una conferma importante ed al salto di qualità con questo (mini) album, “Chambers”, uscito lo scorso 16 novembre.
Album che si apre con “The Bitter Over” tra chitarre cristallizzate, meno graffianti dei precedenti lavori ma non per questo meno intense, lì come a sfidarsi e fronteggiarsi senza violenza creando una sorta di lieve vortice sognante in cui si innalza la delicata e soave voce di Jane: il risultato è un lento ed emozionale flusso che sa tanto di anni ’90, di Slowdive e Lush, ascolti che sicuramente non saranno mancati nella formazione dei ragazzi americani.
Altrettanto caleidoscopica e da viaggio ad occhi chiusi è la seguente “Duende”, e se la chitarre ricercano maggiori gradi di profondità , la voce di Jane è ancora lì, pura, eterea, quasi ultraterrena.
Il risveglio punk della batteria di “The Time is Up” ravviva nervi e muscoli e ci riporta su canali più garage, mentre “Summer Nights” ha connotati dream-pop e nel dimostrare l’eclettismo e la poliedricità strumentale della band, conferma la leggera, soave e seducente voce di Jane tra i continui, ricchi e propulsivi bagliori di chitarre: sentiment rafforzato anche in “Honeydew”, dinamica e dall’atmosfera rarefatta, dove il canto ipnotico di Jane la fa fluttuare dietro al riverbero e alle distorsioni delle chitarre di Neil e Zeeshan che le creano davanti come una parete di vapore argentino e splendente.
In tutto questo, melodia, armonia, carattere continuano a non mancare. E la sensazione di rivederli su qualche palco al giro per l’America e non solo nella prossima estate diventa quasi una sicurezza…