I Nothing li conosciamo da parecchio tempo, quasi dall’inizio della loro carriera, e subito ci siamo innamorati della loro musica, seguendo, volenti o nolenti, anche le disavventure che hanno accompagnato la sfortunata vita del loro frontman Domenic Palermo e che hanno di conseguenza influenzato anche i loro testi.
Il loro terzo album, “Dance On The Blacktop”, è uscito lo scorso agosto, ancora una volta per la Relapse Records, e noi abbiamo intervistato il cantante e chitarrista di origini italiane poche settimane fa, rimanendo piuttosto addolorati per le sue condizioni fisiche, ma allo stesso tempo apprezzando la sua grande forza mentale, che lo sta portando a proseguire questo percorso iniziato nell’ormai lontano 2010.
Stasera siamo al Locomotiv Club di Bologna, in quella che sarà la prima delle loro tre date italiane, inserite all’interno di un tour europeo lungo ben cinque settimane, che nei giorni scorsi, come racconterà Palermo nel corso del concerto, li ha portati per la prima volta a suonare anche in Russia.
La sala della venue di via Serlio si riempe pian piano e il numero dei presenti, quando i Nothing saliranno sul palco pochi minuti dopo le dieci e mezza, sarà decisamente interessante, anche se non sold-out.
Se la setlist di stasera è ben incentrata ““ giustamente ““ sul loro terzo LP, in questi intensi ottanta e più minuti troveranno spazio anche brani estratti dai loro due precedenti dischi.
Il concerto inizia con la stessa canzone che apre la loro fatica più recente, vale a dire il singolo “Zero Days”: il suono è duro con le chitarre distorte che la fanno da protagoniste, mentre Kyle Kimball continua a colpire duro sul suo drumkit, come succederà anche durante quasi tutta la serata, ma le sensazioni melodiche, che si nascondono dietro alla voce e al dolore di Palermo giungono intense e gradite alle orecchie degli spettatori emiliani, che nel frattempo hanno già iniziato a muovere i propri corpi.
Mentre Brandon e Domenic si alternano ai main vocals in “Curse Of The Sun”, la violenza sonora non accenna a calmarsi e sono le linee del basso del nuovo arrivato Aaron Heard a incantarci, mentre le due sei corde non cedono di un centimetro.
E se Setta e Palermo, in un’intervista con Stereogum della scorsa primavera, avevano parlato della ricerca di positività nel corso del processo creativo, la splendida “You Wind Me Up” (“parla di non essere una bella persona all’interno di una relazione”… ma non sono io”, racconta scherzando il barbuto cantante di origini italiane) puo’ sembrare, almeno a livello di suoni, cercare quella direzione: il pezzo è decisamente più aperto e meno cattivo rispetto a quello che i Nothing ci hanno abituato e ai presenti non resta che godere dell’ottima e pulita melodia.
“Us/We/Are” ha un non so quale elemento che ci riporta alla mente i Nirvana, anche se l’intensità aumenta solo nel ritornello, sebbene a Domenic si rompa una corda della chitarra durante l’esecuzione del brano.
L’adrenalina aumenta in “Vertigo Flowers”, molto più energica rispetto alla sua versione originale: anche qui i riferimenti si possono trovare nella Seattle degli anni ’90, anche se qui il senso melodico è maggiore rispetto all’era dorata del grunge.
“La prossima canzone parla della morte”, ci ricorda Palermo, consigliando poi ai suoi fan di godere del tempo che riusciamo a passare con gli amici e i famigliari, perchè non sappiamo se domani ci saranno ancora: ovviamente stiamo parlando della lunghissima “The Carpenter’s Son”. Gli umori cambiano totalmente e anche il suono rispecchia ciò attraverso arpeggi decisamente più delicati e consoni all’importanza dell’argomento toccato. Il brano parla del padre di Domenic, morto pochi anni fa, cadendo in bicicletta e affogando poi in un fosso, mentre ritornava a casa in una serata piovosa: sebbene, da quello che abbiamo letto in rete, i rapporti con il genitore non fossero particolarmente buoni, la sofferenza è evidente e crediamo che per Palermo sia un dolore, ma allo stesso tempo qualcosa di terapeutico ““ passateci il termine ““ cantare questa canzone.
In “Blue Line Baby” le sei corde passano da morbide a violente per alcune volte nel giro di pochi attimi, ma anche qui sembra possibile trovare un po’ di quella luce di cui tutti noi abbiamo un fottuto bisogno, mentre “(HOPE) Is Just Another Word With A Hole In It” chiude il mainset con chitarre vorticose e violente, mentre i vocals del frontman appaiono più puliti e comprensibili, nonostante un senso di disperazione pervada l’atmosfera.
Oltre ottanta minuti in cui i Nothing si sono dimostrati ancora una volta una roccia, una band di quelle che non tirano mai indietro il piede di un centimetro: la loro musica è dura e severa, ma onesta e capace di trovare degli spazi per la melodia che, dietro a quel più che comprensibile dolore umano che purtroppo Palermo si porta dietro da tanto tempo, riesce a darci qualcosa di importante, sia essa una luce, una speranza, una gioia, ma è sufficiente per farci andare avanti e trovare la voglia di lottare e di crederci ancora.