di Enrico Sciarrone
Sono ormai trascorsi 35 anni da quello scioglimento prematuro, improvviso e senza un dichiarato motivo avvenuto nell’83 che ha posto fine ad una delle piu’ interessanti proposte musicali emerse nel panorama del gothic rock primi anni ’80. All’apice del successo commerciale, nel pieno della loro vena creativa e compositiva unita ad una capacità e presenza scenica unica e sconvolgente che costituiva di per sè uno show all’interno dello show, i Bauhaus decisero infatti di porre fine alla loro esperienza musicale lasciando tutti increduli e interdetti.
Da allora svariati progetti solisti e non (Tones on Tail, Dali’s car, Love and Rockets, Poptones), due tour reunion nel 98 e 2005 che non hanno sortito alcun seguito in studio, segni inequivocabili che tra i quattro non corre buon sangue e che la speranza di vederli tornare a fare qualcosa insieme è ormai svanita da tempo. Detto questo, forti di un riconoscimento unanime per il contributo di spessore dato al genere gothic rock , l’interesse verso i Bauhaus non è mai venuto meno sia da parte dello zoccolo duro costituito dai fans storici sia da parte di coloro che li hanno approcciati solo recentemente. Ne è una riprova il numeroso e variegato pubblico (molti nerovestiti dagli anta in su ma non solo ) accorso al Fabrique di Milano per la seconda data italiana del tour mondiale di Peter Murphy e David J celebrativo dei 40 anni di attività dei Bauhaus.
L’aspettativa, piu’ o meno velata, che albergava nei cuori di molti era di fare una full immersion nel passato rivivendo immagini, emozioni, sonorità immortalate nella mente di tutti. Aspettativa soddisfatta, ma solo in parte. Era chiaro, non eravamo di fronte ai Bauhaus, ma solo ad una parte del gruppo seppur significativa come il vocalist Peter Murphy e il bassista David J coadiuvati da due gregari alla chitarra/batteria, lì per “celebrare” il gruppo. Si partiva con la riproposizione per intero dell’album di debutto “In the Flat Field”, a cui hanno fatto seguito le maggiori hit come “Bela Lugosi”, “She’s in Parties”, “Kick in the eye”, “Dark Entries” e la splendida cover dei Dead can Dance “Severance” ormai entrata stabilmente nel repertorio live del gruppo. I nostri facevano egregiamente la loro parte, per quello che il grande talento gli consentiva anche se saltava subito all’occhio che il tempo era passato inesorabile anche per loro. Peter Murphy padroneggiava con mestiere il palco anche se non più con il magnetismo e l’agilità di un tempo, colpiva vederlo cosi ” statico” ricordando il giovane demone che si muoveva sinuoso e imprevedibile per il palco, la sua voce si mostrava comunque ancora corposa anche se con qualche pausa, la parte ritmica di David J martellava fondamentale all’interno dello show e spaccava come sempre (vedi assolo finale di “She’s in Parties”).
Il pubblico mostrava di apprezzare ma non era interamente coinvolto. Peter Murphy coglieva forse questo aspetto, battibeccando spesso con il pubblico stesso additandolo di non essere abbastanza “cool”, decideva quindi, un po’ contrariato, di rinunciare ai bis “Telegram Sam”, “Ziggy Stardust” e “Crowd” chiudendo anticipatamente un concerto professionalmente impeccabile che ha avuto il merito di emozionare nella riproposizione pressochè fedele e intensa (spesso con l’ausilio di basi preregistrate a supplire la mancanza di alcuni strumenti e alcune parti originali di chitarra) di brani che hanno fatto la storia del genere gotico.
Se l’obiettivo era di “celebrare” degnamente un percorso musicale lungo un quarantennio , possiamo senz’altro affermare che David e Peter lo hanno fatto con consumata maestria dimostrando di aver ancora qualcosa musicalmente da dire.
Per il resto facciamocene una ragione, il gruppo che abbiamo amato per la sua forza evocativa, per la sua unica e impareggiabile magia non c’è piu’.
Photo: Jeff Marquis, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons