“I venti si sono alzati, torridi e spaventosi”, canta Jordan Lee nei versi che aprono questo suo terzo LP, come sempre firmato a nome Mutual Benefit. Ma c’è bisogno di estrema concentrazione per riuscire a vedere “il cielo che diventa nero in lontananza”: la sua voce non tradisce spavento, lo strumming di chitarra acustica procede sereno.

Va detto che la voce trattenuta, distaccata e i delicati arrangiamenti orchestrali sono da sempre il suo marchio di fabbrica. Ma, come già  nel precedente “Skip a Sinking Stone”, sembra andata persa l’urgenza, l’inquietudine che permeava “Love’s Crushing Diamond”, l’album che lo aveva portato alla ribalta nel 2013 dopo una serie di EP pubblicati su Bandcamp. Anche la produzione è quanto mai piatta e ripetitiva, uccidendo pezzi come “New History” che avrebbero anche una buona scrittura, a metà  strada tra Iron & Wine e Kings of Convenience. “Shedding Skin” potrebbe essere una b-side di Sufjan Stevens, ma le descrizioni di fiori e funghi che crescono sui tronchi di un albero faticano a trasformarsi in metafora e rimangono materiale da documentario.

Il contrasto è ancora più netto in “Waves, Breaking”, perchè le onde che “non possono essere domate da nessuna canzone” sono rappresentate da dei fiati irrequieti tenuti criminalmente indietro nel mix e sovrastati da un pianoforte banale e dalla voce ancora una volta imperturbabile. I momenti migliori arrivano verso la fine con “Mountain’s Shadow” quando, nonostante un flauto molto scolastico, le atmosfere si fanno finalmente più malinconiche e soprattutto nella conclusiva “Thunder Follows”, dove un arpeggio ossessivo fa da sottofondo a un crescendo misurato che porta verso “un tuono, un colpo d’avvertimento, una bomba sganciata altrove”. Una grancassa suona a morto e degli archi lugubri si prendono la scena: “come possiamo continuare a svegliarci come sempre?”

Nella presentazione del disco, Lee spiega di aver voluto raccontare “il momento tra il lampo e il tuono”, dove il lampo sarebbero i disastri ecologici, Trump, la voracità  delle multinazionali, mentre il tuono qualcosa di imminente e ancora più catastrofico. L’album vorrebbe “contemplare la distruzione in corso del mondo esterno e come essa influenza le tempeste nei nostri mondi interiori”. I temporali, è vero, ritornano più volte nei testi ma purtroppo non nella musica che rimane confinata in quel momento di silenzio prima del tuono, senza mai riuscire a farne presagire l’arrivo. “Se l’amore è una corazza, allora possiamo amare più forte?”, si chiede in “Written in Lightning”. Sì, possiamo, ma ad ascoltare questo disco sembrerebbe stranamente poco necessario.

Credit: Stephanie Griffin