Questa sera sul palco del Fabrique una vera e propria icona del rock made in England. Johnny Marr, chitarrista dei mai dimenticati Smiths, è in italia per presentare il suo quarto disco da solista (contando anche quello del 2003 uscito come Jonnhy Marr and the Healers) “Call The Comet” pubblicato qualche mese fa, a 4 anni esatti dal precedente album di inediti “Playland”.
Che dire: dopo lo scioglimento di quello che, a conti fatti, è, dopo i Beatles, il progetto pop più importante per la musica d’albione, al contrario del suo collega Morrissey, Johnny Marr ha avuto una carriera altalenante, tantissime collaborazioni (chi non lo vorrebbe in un proprio lavoro), anche in pianta stabile, si pensi a quella con i The The, al progetto Electronic insieme a Bernard Summer e Neil Tennant (di cui stasera ha eseguito 2 cover), ma anche alla bizzarra (o quantomeno insolita) entrata in line up nei Modest Mouse (una band con un percorso totalmente differente e la leggenda vuole che cercassero un chitarrista alla Johnny Marr e si presentò lui), durata giusto un album. Gli stessi dischi solisti, a me personalmente, non avevano mai convinto molto, de gustibus sia chiaro, ma lo percepivo meno a fuoco dell’illustre ed “odiato” collega, che invece di dischi importanti ne ha pubblicati con regolarità .
Con “Call the comet”, invece, tutto è cambiato: un signor disco di canzoni scritte, suonate e arrangiate come Dio comanda, azzardo un: “tutte belle dall’inizio alla fine” e di questi tempi un album, che non ha la pretesa d’inventare nulla (anche perchè Johnny un suono l’ha davvero inventato), con una tracklist così ricca, è tantissima roba ed è pure pieno zeppo, non solo di canzoni con la “C” maiuscola, ma anche di singoli veri e propri, brani che da soli stanno in piedi penso a “Hi Hello” (era davvero tanto che non sentivo un classico singolo ‘britpop’ così forte), a “Raze”, a “Hey Angel”, a “Day in day out”, sticazzi davvero. Questo per dire che tutta questa manna mischiata ad alcuni evergreen smithiani come “Bigmouth strikes again”, “How soon is now?” o “There is a light that never goes out”, tanto per dire, fanno di questo live, un concerto con una setlist di quelle da ricordare per un po’, una bombetta come vorrebbe sottolineare il nuovo linguaggio giovanile.
Marr si presenta puntualissimo alle 21, un vero baronetto e a 55 anni suonati ha ritrovato una sua dimensione e sembra pure giovanissimo, senza nemmeno pagare il tributo al suo glorioso passato e, sia chiaro, tutti noi aspettavamo anche gli inni di quella band pazzesca che furono gli Smiths, ma credo in buona parte anche per ascoltare e cantare queste sue ultime canzoni; il suo live è sicuramente quello che si avvicina di più alla magia originale del quartetto di Manchester. Morrissey ha una band e un approccio diverso, mentre Johnny ha voluto, quantomeno in questo tour, ricreare quell’atmosfera e in qualsiasi cover possibile l’assenza di quella chitarra lì renderebbe il tutto sempre figlio di un dio minore: praticamente, di fatto, forse per una volta, è più importante la sei corde della voce, di quello che è, per quanto mi riguarda, il migliore chitarrista ever.