In una scena più o meno a metà film, Nicholas Cage si trova in un bagno tappezzato con poco gusto di giallo e arancione, indossa slip bianchi e una maglia con al centro la testa di una tigre ruggente, è pieno ferite, madido di sangue. Urla come un ossesso, digrigna i denti e svuota una bottiglia di vodka, un po’ dritta in gola un po’ tirandosela sulle ferite. Tanto per strillare un po’ di più.
Quello che potrebbe sembrare uno dei raptus di overacting dei quali Cage è spesso preda, è nella pellicola di Cosmatos non solo funzionale alla narrazione, ma uno dei momenti più normali. Tanto per fare un esempio: lo scontro tra Cage e uno dei cattivi si risolve con un duello armati di seghe elettriche.
Eternamente al limite tra porcata e film d’autore, “Mandy”è una specie di vengeance movie esoterico, che mischia gore e new age. La fotografia spendidamente satura e cangiante e i costanti bordoni di synth di Johan Johansson, combinati al plot folle, ne fanno un’esperienza visiva e sonora tonitruante, a tratti stordente.
“Mandy” trova qualche precedente nell’estetizzazione estrema dei film di Refn, così come in “The Lords Of Salem” di Rob Zombie, ma Cosmatos ha gran personalità nel limitarsi a strizzare l’occhio a questi modelli e piegarne la lezione ai suoi scopi.
Tante sono le peripezie che il personaggio di Cage deve affrontare per trovare vendetta, che alla fine del film quasi si tira un sospiro di sollievo e ci si dimentica per un attimo della quasi totale assensa di senso che affligge il film (a meno che non ci si accontenti del classico scontro tra bene e male o della forza brutale dell’amore).
Bello non so, ma sicuramente unico e ipnotico “Mandy” lo è, guardatelo perchè una così non l’avete mai vista.