Seconda (e terza) pellicola di Paolo Sorrentino ispirata alla figura di un politico italiano, “Loro” vuole essere molte cose.
Partiamo dal titolo, che è chiaro manifesto dell’intera operazione e della visione che Sorrentino ha voluto mettere sul piatto, confrontiamolo con quello del suo altro film politico. Andreottti e Berlusconi sono i due politici che hanno coperto la carica di primo ministro più a lungo, influenzando con le proprie scelte e vicissitudini la nostra storia recente. Eppure, per Andreotti, Sorrentino ha scelto il titolo “Il divo”, che da subito segna una cesura, un netto distacco tra questa figura e gli italiani, che ne accentua l’inafferrabilità , la lontananza. Per Lui (la maniera in cui Silvio Berlusconi viene chiamato dai suoi prodi nel film) il regista napoletano ha invece scelto il titolo “Loro”, quasi a indicare l’impossibilità di Berlusconi di essere quello che è stato senza un popolo che ne alimentasse il mito e che ne faccesse ancor prima che un capo di governo un fenomeno di costume, un (non) modello cui ispirarsi.
Per dipingere ciò il film si sofferma su un periodo piuttosto limitato, i tre anni che vanno dal 2006 al 2009, durante i quali Berlusconi sarebbe stato investito dagli scandali che ne avrebbero segnato la fine della carriera politica e avrebbe terminato la sua relazione con la Lario.
Nonostante “Loro” sia a tutti gli effetti un film con una sua compattezza, la sua suddivisione in due capitoli ha uno scopo molto preciso. La prima parte, eccessiva e ipercinetica, si sofferma infatti sui Loro del titolo, aspiranti cortigiani disposti a tutti pur di entrare nella cricca di Lui. Mentre la seconda, più pacata e dialogata, ci porta finalmente alla scoperta dell’intimità di Berlusconi – o meglio di come Sorrentino la immagina.
La sensazione alla fine della visione di “Loro”, pur piacevole e ricco di spunti interessanti, è che si tratti di un’occasione persa, dove i numerosi momenti criptici e le decine di milioni di scene oniriche o fotograficamente virtuose annacquino le riflessioni argute.
Un’ultima riflessione voglio rivolgerla ad una critica al film che ho letto spesso, quella secondo cui Sorrentino sarebbe stato morbido, quasi assolutorio nei confronti della figura di Silvio Berlusconi. A me sembra che quello che succeda nelle feste, così come il regista ha voluto rappresentarle, sia schifoso e certa materia di giudizio penale, non è che doveva metterci i sottotitoli “oh, non fare questo che sono due anni, oh, non fare questo che sono sei, oh, questo l’ho ripreso figo ma è schifoso“. Anzi, mi verrebbe da dire che la naturalità con cui un certo mondo viene dato per scontato dai personaggi del film sia di per se una condanna. Così come il fatto che le vicende ruotino intorno a un personaggio che cerca di avvicinarsi a Berlusconi, riuscendoci, mettendo su un giro di prostituzione. Insomma, più chiaro di così si muore.