“Bird Box”, ennesimo film made in Netflix, si basa sul romanzo omonimo di Josh Malerman. La trama è semplice: qualcosa di misterioso spinge ogni essere umano che lo guarda a suicidarsi, un gruppo di sopravvissuti tenta quindi di cercare di sopravvivere. E”… questo è quanto, davvero.
La pellicola ha il grosso pregio di attrarti fin dai primi minuti, grazie alla splendida trovata del mostro/presenza/alieno sconosciuto che intriga lo spettatore: cosa c’è veramente dietro a questi suicidi di massa? Chi tira le fila di questo attacco all’umanità ? Purtroppo, passati i primi 30 minuti iniziali, il film si perde completamente nei suoi difetti: personaggi secondari poco sviluppati o inutili, storia che cerca di far empatizzare coi protagonisti ma riesce solo a farti accendere il cellulare. è forse grazie alla ottima recitazione che ci viene risparmiato qualche sbadiglio: nel cast sono presenti attori del calibro di Sandra Bullock, John Malkovich e Trevante Rhodes, visto recentemente in “The Predator”.
L’idea di sviluppare il film su due linee temporali, quella presente con i protagonisti in fuga, e quella passata dove vengono mostrati i primi mesi dell’invasione/contagio, ha lati positivi e negativi: serve sicuramente a far notare la crescita dei personaggi principali, soprattutto di Malorie, ma ci svela con ampio anticipo chi saranno i soli a sopravvivere.
Altra cosa di cui soffre il film è un po’ la sindrome di “A Quiet Place”: se nel lavoro di John Krasinski si passa da un necessario bisogno di silenzio assoluto per non attirare mostri a “facciamo casino che tanto nessuno ci sente“, anche in “Bird Box” la logica, soprattutto verso il finale, tende a mancare vistosamente: si inizia col riuscire a malapena ad arrivare ad un supermercato a poche centinaia di metri di distanza con una macchina dai vetri oscurati ma munita di sensori di prossimità , per finire con Malorie bendata che naviga un fiume e corre per i boschi, senza nè affogare nè prendere alberi in faccia ogni dieci passi.
Tutto questo vanifica la splendida atmosfera creata grazie ai mostri/presenze/alieni, che restano forse il punto migliore di tutto il film. Anche qui però rimane un grande “ma”, che chi ha visto il film già conosce bene e che non sto a dirvi per non rovinarvi il finale, di per sè già molto fiacco e abbastanza tirato via. Quel che manca a questa pellicola è forse qualche scena in più passata in compagnia dei mostri e del mondo ormai irrecuperabilmente cambiato. La crescita di Malorie, punto focale dell’opera, è sicuramente ben realizzata e spiegata punto per punto. Sin dalla prima scena possiamo notare come la protagonista sia in balia della solitudine, incapace di mantenere rapporti con gli altri: è solo grazie alla sorella che rimane in minimo contatto col mondo ed è sempre lei che la avverte che sta succedendo qualcosa di grave. Col passare degli eventi si può ben notare lo sviluppo del personaggio, che si trasforma completamente nel finale. Tutto questo però non basta a motivare due ore di film passate quasi interamente a parlare di Malorie e non di ciò che la circonda.
Le premesse iniziali per un film godibile c’erano tutte: l’ottima idea di partenza e un buon cast per migliorare la qualità della pellicola. Una volta addentrati nella storia vengono però fuori tutte le debolezze di un’opera che ha tentato forse troppo di andare sul filosofico, portando via la concentrazione da un mondo che andava esplorato un po’ di più per rendere il prodotto finale ancora più avvincente. La sensazione finale infatti rimane che Malorie sia cresciuta, ma che il film sia rimasto inesorabilmente vuoto.