di Micky Cardilicchia (Horror House)
Nel panorama cinematografico del genere horror moderno si è cercato sempre di puntare su un’idea originale, più strana o particolare per costruirci sopra l’intera sceneggiatura, proprio per provare a fare qualcosa di nuovo. Quindi è usuale indirizzarsi verso mete spesso troppo bizzarre che nel migliore dei casi rimangono nell’immaginario collettivo proprio per la totale pazzia di queste idee.
Ultimamente invece in molti preferiscono concentrarsi su qualcosa di già visto, meno originale quindi, per reinterpretarlo e farlo proprio.
Steven Soderbergh opta proprio per questa strada, prendendo il tema (semi)principale della malattia mentale apparente (o no?) per realizzare Unsane. Niente di nuovo quindi?
Invece no!
Il “lampo di genio” di Soderbergh infatti non lo troviamo all’interno della sceneggiatura ma proprio sulla regia e la tecnica di ripresa.
Unsane è interamente girato con uno smartphone, più precisamente un iPhone 7 Plus. Il regista, che si è occupato anche della fotografia e del montaggio, ha dichiarato: «Utilizzare l’iPhone è stata una delle esperienze più liberatorie che abbia mai avuto come regista e che continuo ad avere. Le sensazioni che ho provato un minuto dopo l’altro sono state così significative che, per me, questo è da considerarsi come un nuovo capitolo ».
Proprio per la tecnica di ripresa così originale, “Unsane” riesce quasi ad ottenere quell’estetica particolare e affascinante di un film amatoriale, grazie alla luce calda della fotografia degli interni (se avete un iPhone potete tranquillamente capire di che parlo) e quella grana imperfetta che crea una sorta di “spessore” (visivo) nella pellicola.
La freddezza della pellicola non proviene infatti dalla gamma cromatica della fotografia, ma da una sapiente gestione delle inquadrature e di riprese statiche, grandangolari (feature non presente nativamente sull’iPhone, quindi sicuramente create tramite accessori esterni), ma a tratti anche molto mosse e instabili (lo stabilizzatore dell’iPhone 7 Plus non è così accurato come quello degli attuali modelli).
Si vede che Soderbergh ci sa davvero fare, perchè siamo davanti ad un prodotto sicuramente imperfetto e quasi sperimentale, ma comunque di altissimo livello dal punto di vista di regia.
Parlando del film e tralasciando la tecnica, personalmente sono rimasto decisamente colpito dall’interpretazione di Claire Foy che interpreta una Sawyer sempre in bilico tra pazzia e razionalità . La sua personalità è influenzata dalle sue esperienze, che a distanza di anni la tormentano ancora. Questo provoca in lei momenti di disturbo e distacco dalla realtà ed è proprio qui che lo spettatore rimane col dubbio se ció che la protagonista sostiene è effettivamente quello che accade realmente.
La prova attoriale della Foy è davvero riuscitissima, in quanto riusciamo facilmente ad empatizzare con lei. Si alternano momenti di rabbia a istanti di confusione e turbamento, raggiungendo in un preciso punto del film una sensazione di totale abbandono. Sawyer infatti, probabilmente nell’unico attimo nel pieno delle sue facoltà mentali, cede davanti alla sua condizione e si lascia andare all’accettazione della malattia, che solamente una persona sana potrebbe davvero fare. Inoltre la sua condizione di vittima è resa in modo eccellente: la costante ossessione che pervade la pellicola e soprattutto la mente della protagonista è tangibile e ben caratterizzata, specialmente considerando la strategia del regista di nasconderci sempre la veritá. In questo modo Sawyer è del tutto inerme di fronte a ció che ha di fronte poichè a fronte di una richiesta di aiuto sarebbe semplicemente ignorata, proprio per la condizione in cui si trova.
Il regista qui pone l’attenzione su uno dei problemi più gravi della società moderna in cui costantemente molte donne si ritrovano, quindi, per evitare di non essere credute, vivono nel silenzio in una vita fatta di pericoli. Un grande significato che viene trattato con delicatezza e con enorme serietà senza scadere nell’ovvio, infatti, anche se si tratta di una tematica presente nel film, è trattata talmente delicatamente che sembra quasi un qualcosa da interpretare e non così scoperto nella trama.
Oltre al tema della malattia mentale e quello appena descritto, Soderbergh nella sua pellicola inserisce altre due importanti tematiche accessorie che fanno anche in questo caso da elemento di denuncia.
Il regista vuole mostrare come il mondo social puó influire negativamente sulla nostra privacy, esponendoci a elementi e figure negative che nella pellicola sono presenti e creano una grandissima dose di ansia e pressione continua. Il regista peró non sembra proprio volerci dare una vera lezione di vita, ma è interessato unicamente alla storia e alla sua risoluzione. è bene precisarlo perchè Unsane non è un film orientato ad istruire o passare “morali” particolari, e non perchè si tratta di un film vuoto, ma non è semplicemente il suo obbiettivo.
Unito a tutto questo, c’è anche una denuncia alla sanità americana, secondo la quale il paziente viene “sfruttato” finchè l’assicurazione riesce a pagare le spese mediche. Una visione davvero materialista che diventa lo specchio di un’America dove solo se hai i soldi puoi curarti.
“Unsane” è un’ottima pellicola sapientemente confezionata, sia nella perfetta gestione dei tempi, alternando scene più lente ad altre più dinamiche (senza ricorrere alle più classiche scene d’azione “all’americana”), sia nella costruzione tecnica. Il film vanta di un’originalità particolare pur avendo, sulla carta, un budget a disposizione abbastanza contenuto e mezzi non professionali (per quanto sia considerato costoso, rimane un oggetto non adatto al mondo video ludico o della fotografia professionale). Grazie al talento di Soderbergh quindi, “Unsane” brilla -umilmente- in questo 2018 appena trascorso, dimostrando anche che solo mettendosi in gioco e tanta passione si ottengono risultati validissimi.
Il film, seppur senza eclatanti colpi di scena o trovate rivoluzionarie, riesce a mantenere molto alta la tensione e la curiosità nello spettatore.
Che sia “Unsane” un punto di riferimento per il cinema che verrà , come lo è stato “The Blair Witch Project” creando i mockumentary? Staremo a vedere, ma personalmente sono rimasto molto più affascinato da questo “esordio” con l’iPhone, rispetto a quello con la videocamera a mano (parlo dei film in questione, anche perchè adoro i mocku).