E’ strano.
E’ strano come “Il primo giorno d’inverno” possa portare con sè la freschezza di un temporale estivo.
Come quando ti manca l’aria, ecco Officine Bukowski avvicinarsi, carichi d’ossigeno e pronti a salvarti.
Non leggo mai le bio degli artisti che recensisco, almeno non prima di averli ascoltati.
Non voglio lasciarmi influenzare, decido di affidarmi ai loro testi, farmi un’idea, toccare con mano quello che loro pensavano nel momento della scrittura, giocare ad essere loro, invidiarli un po’.
Officine Bukowski debuttano con “Il primo giorno d’inverno” e lo fanno come un attaccante che arriva in Serie A da un altro campionato. Rete all’esordio, la curva applaude.
L’album scivola via tra le cuffie che è un piacere.
La voce di Debora Chiera ci avvolge in quella che è la notte più lunga dell’anno.
C’è poca luce in camera, fuori è già buio.
Un piccolo viaggio tra amore, rabbia, istinto e sincerità .
“Il primo giorno d’inverno” porta con sè un messaggio fondamentalmente positivo, una fune che giunge sul fondo di un pozzo buio per offrire una via d’uscita a chi è rimasto intrappolato, ma senza proporre false speranze o semplici soluzioni: la fatica sarà risalirla, quella fune.
Le Officine Bukowski hanno deciso di portare con loro in quest’esperienza delle collaborazioni di spessore, vedi di Roberto Vernetti – volto noto al grande pubblico per la partecipazione a X-Factor nel 2009 come vocal coach di Claudia Mori e nel 2015 come producer per Skin– che ha curato la produzione, il mixaggio e il mastering dell’album; Gian Maria Accusani, voce e chitarra di Sick Tamburo e Prozac+ e Paolo Saporiti dei Todo Modo che hanno partecipato in alcuni brani.
Questo mix ha generato un album pregno di rock alternativo ma mai banale, poggiato su ritmiche versatili ma sempre pronte a fare il loro lavoro, sonorità elettroniche d’annata che traggono spunto dal dub e dal trip hop.
Dieci pezzi, un album che indossa i panni di Virgilio, ci porta in fondo e ci riporta in superficie.
In “Giardino di tulipani” trovo una porzione di testo che mi emoziona, tachicardia violenta, poi la pace.
Ormai è loop, per fortuna.
“La notte sovrana ci guarda, ha gli occhi gialli.
Esplodono stelle nel cielo come dinamite sul nostro sole,
nel nostro sole, sul nostro sole…”
La situazione si ripete poco più tardi.
Qualcosa mi trattiene, sono le “Sabbie mobili”.
Ecco il perchè:
“Ed il mio viso sembra truccato dal dolore che ho provato con il tempo a cancellare.
Piango seduta nel mio letto,in questa stanza buia,fra le mani stringo un lenzuolo per non cadere più…
E come sabbie mobili scivolo giù.
E nelle sabbie mobili mi tiri giù, con la voglia di morire da non svegliarmi più.”
Ora che fate?
Correte ad ascoltare Officine Bukowski oppure stare impantanati in questa lettura?
Vi consiglio di indossare il vostro abito più bello, stendervi a letto, spegnere la luce e iniziare il viaggio.
Il Charles che è in noi si materialezzerà dinanzi a voi, non sarete soli ad ascoltare, non sarete soli.