Torna a farsi sentire anche Nada che pubblica l’ennesimo disco di una carriera lunghissima che da qualche anno a questa parte l’ha vista immedesimarsi in un ruolo da piccola Benjamin Button, di fatto ringiovanendo album dopo album.
Questo, nella fattispecie, viene licenziato dalla Woodworm, una delle label più importanti in Italia, dato anche il legame solido che c’è tra la cantautrice livornese con gli Zen Circus o con Francesco Motta, entrambi sotto management con l’etichetta toscana. Detto questo, sono un pò di anni che Nada ha smesso il ruolo del personaggio mainstream o pseudo tale (ci siamo capiti), addentrandosi nei meandri della cosiddetta musica d’autore, alternative, indie, spingendo ancora di più sull’acceleratore. Quest’ultimo disco prosegue, di fatto, il cammino intrapreso fino ad oggi, un lavoro totalmente “flat” per le scelte di produzione, che, come nel 2004 per quel magnifico piccolo capolavoro che fu “Tutto l’amore che mi manca”, vede la prestigiosa figura di John Parish, a dirigere i lavori, il quale, in quel di Bristol, sceglie, come detto sopra, la via della semplicità , una produzione alla Steve Albini per capirci, lasciando suonare spontaneamente le parti, intervenendo poco, forse anche a ragion veduta, sicuramente una scelta ben ponderata; quello che mi ha convinto meno, lo dico con enorme rispetto per un’artista che ha fatto la storia del cantautorato italiano al femminile, sono proprio le canzoni.
Dando quasi per scontato che da questi mostri sacri difficilmente possano arrivare dischi particolarmente diversi o fuorvianti rispetto al solco tracciato in lunghe carriere (penso a Giorgio Canali a Federico Fiumani o Cristina Donà ), la speranza è quella di trovare una media di canzoni qualitativamente sempre molto alta e, vi dirò, trovo sia giusto così, data la sempre alta aspettativa. Qui, ahimè, si latita un po’. Sono proprio i brani che non decollano, a parte il già sentito singolo: anche dopo ripetuti ascolti non mi cattura la “voglia del repeat”, eccezion fatta sicuramente per “All’ultimo sparo” e, appunto, “Dove sono i tuoi occhi”, che mi sembrano i due episodi meglio riusciti, due ottimi pezzi senza dubbio.
Sia chiaro, è’ un disco che raggiunge la sufficienza senza problemi, parliamo sempre di un altro campionato, ma è appunto perchè siamo nell’eccellenza che vogliamo sempre qualcosa in più.