A distanza da 4 anni dal suo interessante disco d’esordio, torna con un nuovo lavoro il cantautore Ben Slavin, americano di nascita, ma che suona quasi riduttivo ormai definire “solo” napoletano d’adozione, perchè in effetti sono quasi 14 anni che ci vive e lavora.
Sì, perchè se l’apparato musicale, l’immaginario, ovviamente gli studi e le prime esperienze musicali li deve ai suoi trascorsi natali nel New Jersey meridionale, è proprio in Italia che il suo suono si è attecchito, ha messo radici profonde, sin dai primi vagiti musicali assieme a Odette di Maio, che noi tutti ricordiamo come splendida leader dei mai dimenticati Soon, ma da anni alla ricerca di una via cantautorale personale. I due avevano dato vita a The March, progetto poi confluito in un Ep, rimanendo poi legati da grande amicizia (Odette la cui voce affiora in lontananza anche in questo disco) e da lì per il Nostro è stato l’inizio di un viaggio che oggi incontra una nuova tappa.
Una tappa che lo riporta indietro, proprio a quei luoghi in cui è cresciuto e ha vissuto, nell’isolato di Pine Barrens, qui raccontati e descritti con minuzia di particolari e naturale empatia. Ben Slavin sembra proprio a suo agio nel tratteggiare in maniera vivida luoghi, ricordi, suggestioni: lo aveva già fatto magnificamente nel suo disco d’esordio, sempre uscito con la label napoletana “Apogeo Records”, laddove era proprio la città di Napoli ad essere evocata e omaggiata, tra atti d’amore e impietose fotografie.
“The Pines” recupera quelle istanze ma si arricchisce di umori e atmosfere, ovviamente non discostandosi da certo folk di matrice stelle e strisce, utilizzando tra l’altro una strumentazione dell’area di provenienza. Contribuisce in maniera importante anche il musicista veronese Andrea Faccioli, stimato session man di artisti come Le Luci della Centrale Elettrica e Cisco (fra gli altri), che qui ha accompagnato musicalmente Ben, si è occupato di arrangiare, produrre e mixare, oltre ad aver messo a disposizione i suoi studi di registrazione a Verona (l’album è stato registrato tra la città scaligera e Napoli). Per sua stessa ammissione, però, i brani poi destinati in “The Pines” funzionavano già in versione demo, nella sua natura scarna e minimale.
Tuttavia, i colori poi tracciati in studio hanno decisamente arricchito il tutto, dando qua e là un’anima country, come in “Ode to Clitumnus” o nella briosa “Ordinary Builds”, dov’è il banjo a farla da padrone, sorreggendone la struttura musicale e definendo l’arrangiamento. L’album assume toni solenni in brani come l’eponima “The Pines 1: Barnegat”, in cui il Nostro fa un uso estremamente particolare della voce, lasciandola libera di esprimersi, accennando appena toni lirici, da sempre nelle sue corde, visti gli studi in tal senso.
La strumentazione è prettamente acustica, con Slavin che di volta in volta imbraccia banjo, chitarra, ukulele, disegnando melodie magari non immediate ma di certo suggestive e al più avvolgenti. Interessante anche l’undicesima traccia, “Cetera”, in cui il cantautore si cimenta nella nostra lingua, ormai come detto ben assimilata negli anni, per un testo assolutamente sincero, dove in poche righe Ben ci racconta qualcosa di sè e del suo sogno.
Chissà se la via all’italiano sarà nei progetti a venire di Ben Slavin che, album dopo album, sta trovando piena consapevolezza della sua forza espressiva e della sua peculiarità musicale.