di Daniele Cardarelli
Come fin troppo spesso accade alle nostre latitudini a livello di grandi concerti, per mesi si palesa il nulla cosmico, salvo poi presentarsi serate come questa dove si accavallano eventi da mille e una notte. Ed è così che in questo freddo e umido venerdì di febbraio a lanciare la sfida ai Preoccupations ci sono niente poco di meno che i Massive Attack di scena al Palalottomatica. Ma ve lo diciamo subito a scanso di equivoci, chi ha optato per il live dei canadesi, a fine serata sarà tornato a casa senza il benchè minimo rimpianto.
Procediamo con ordine: arriviamo al Monk abbastanza presto e nell’atrio incrociamo subito Matt Flegel, voce e basso della band di Calgary, che tra una birra e l’altra chiacchiera amorevolmente con i fan che si fermano a salutarlo.
Sono quasi le 23.30 quando gli ex Viet Cong si palesano sul palco e – sorpresa! – si esibiscono su un palchetto tirato su nella parte opposta rispetto al solito main stage, dove poco prima era andato in scena uno spettacolo teatrale. Scelta un po’ discutibile data l’importanza del gruppo, circoscritto in una manciata di metri quadri e che forse ha inficiato sulla resa. D’altronde Daniel Christansen è solito contorcersi in danze tarantolate nella sua postazione, mentre stasera è sembrato piuttosto “‘istituzionale’ relegato nel suo angolino.
Comunque, tralasciando le scelte logistiche, a più di due anni dall’ultima volta che sono passati nella capitale (a supporto dell’omonimo “Preoccupations”) la band conferma una certezza ormai incontrovertibile e una sorpresa. La certezza si riferisce alla parte ritmica guidata da Mike Wallace: il biondino quando impugna le bacchette diventa una forza della natura, esalta ogni singola nota, ed è senza ombra di dubbio uno dei migliori batteristi attualmente in circolazione.
Per quanto riguarda la sorpresa – che poi, dopo aver ascoltato l’ultimo “New Material”, che ha sancito un cambio di sound verso atmosfere più wave, tanto sorpresa non è – notiamo che i chitarristi Scott “Monty” Munro e Daniel Christiansen passano più tempo a smanettare l’armamentario di synth eretti davanti le loro postazioni piuttosto che far esplodere le chitarre. Ma nel complesso uno show dei Preoccupations mantiene sempre un elevato standard qualitativo e questo di stasera ne è un esempio.
I nuovi brani come “Espionage”, “Decompose” e soprattutto “Disarray”, a differenza dei loro predecessori, hanno una forza melodica che non teme paragoni. Il cantante Matt Flegel limita gli urli e finalmente ci svela un cantato che ha del magico, e il ping-pong con le mine licenziate sotto il moniker Viet Cong (“Continental Shelf”, “Silhouettes”, “Bunker Buster” e “March Of Progress”) accende un bellissimo gioco di contrasti. Il gran finale è riservato alla lunghissima coda di “Death”, dove l’energia sprigionata da Wallace lascia letteralmente a bocca aperta e non si può fare a meno di sudare insieme a lui. A conti fatti, il “‘labyrinthine post-punk’ dei Preoccupations anche stavolta ha lasciato un solco invalicabile.